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Iorio rompe con Atlante
e presenta le dimissioni
In BpVi ora arriva Viola

di Marino Smiderle
L’ex ad di BpVi, Francesco Iorio, ieri ha rassegnato le dimissioni. Al suo posto oggi arriva Fabrizio Viola
L’ex ad di BpVi, Francesco Iorio, ieri ha rassegnato le dimissioni. Al suo posto oggi arriva Fabrizio Viola
L’ex ad di BpVi, Francesco Iorio, ieri ha rassegnato le dimissioni. Al suo posto oggi arriva Fabrizio Viola
L’ex ad di BpVi, Francesco Iorio, ieri ha rassegnato le dimissioni. Al suo posto oggi arriva Fabrizio Viola

Un anno e mezzo vissuto molto pericolosamente. E alla fine la decisione, plateale e rumorosa, di dimettersi. L’avventura di Francesco Iorio alla guida della Banca Popolare di Vicenza è finita ieri mattina, quando ha avuto la certezza che Alessandro Penati gli avrebbe dato il benservito. La fusione tra BpVi e Veneto Banca non sarà portata a termine dall’amministratore delegato che in queste settimane ha lavorato per perfezionarne il piano industriale: questo è quanto il presidente di Quaestio, d’intesa con la Bce, ha comunicato all’interessato. Toccherà a Fabrizio Viola, reduce da un lavoro improbo, ma molto apprezzato da Francoforte, al Monte dei Paschi di Siena, prendere in mano la cloche di un nuovo istituto di credito che dovrà nascere dalle ceneri delle due ex popolari. E per questo potrebbe assumere fin da subito anche la carica di ad di Veneto Banca, con Cristiano Carrus dg.

ACCELERAZIONE. Il nome di Viola circolava da diversi giorni ma tutto lasciava pensare che nulla sarebbe cambiato almeno fino alla fine dell’anno, scadenza entro la quale il presidente Gianni Mion si era impegnato, scontrandosi con i sindacati per via dei tagli previsti al personale, a presentare il piano studiato con Iorio e con i vertici di Montebelluna, dopo la clamorosa uscita di scena di Beniamino Anselmi. A ribaltare il tavolo è stato Iorio, elogiato in maniera convinta dallo stesso Mion all’ultimo convegno sul caso BpVi al teatro Comunale: «È l’uomo giusto per portare a termine questo progetto». Concetto peraltro ribadito nel comunicato diffuso ieri dalla banca, dove Mion e il suo vice, Salvatore Bragantini, esprimono «il più profondo rammarico per la decisione di Iorio al quale, nonostante il breve periodo di collaborazione, sono legati da amicizia e stima; la sua intelligenza e professionalità, unanimemente riconosciutegli, hanno contribuito a salvare la Popolare di Vicenza nel momento più difficile della sua lunga storia».

IL PERCORSO. Un giudizio che viene contestato dalle associazioni degli azionisti e dai sindacati che, specie nell’ultima parte del suo mandato iniziato nel giugno del 2015, l’hanno pesantemente attaccato per gli emolumenti ritenuti eccessivi in rapporto agli obiettivi non raggiunti, come la quotazione in Borsa. In questo anno e mezzo Iorio si è caricato di tutte le responsabilità, a cominciare da quella essenziale: salvare la banca dal fallimento. Per farlo ha dovuto fare lo slalom tra le prescrizioni del decreto emesso da Matteo Renzi nel gennaio del 2015 (che, ironia della sorte, è stato sospeso dal Consiglio di Stato venerdì, prima delle dimissioni degli stessi Renzi e Iorio) con obbligo di trasformazione in spa delle popolari con attivo superiore a 8 miliardi e quotazione in Borsa. Il giro che Iorio ha fatto in giro per il mondo al fine di trovare investitori non ha portato a nulla (per le oggettive impossibili condizioni di mercato) e nelle preassemblee tra i soci si è preso insulti ma alla fine ha portato a casa la trasformazione in spa e l’aumento di capitale. Quest’ultimo, però, solo grazie ad Atlante, che ha iniettato un miliardo e mezzo di euro dopo che Unicredit aveva cercato di sottrarsi alla clausola di garanzia imposta da Iorio. Il risultato finale fu che BpVi venne salvata ma al prezzo di azzerare i titoli rimasti in mano agli altri 120 mila azionisti.

IL NUOVO AD. Quello di Viola sarà un ritorno a Vicenza, visto che è già stato direttore finanziario e vicedg di BpVi tra la fine degli anni 90 e i primi del 2000. Atlante ha già avuto modo di trattare con lui la partita degli Npl di Mps, dove l’attività di risanamento è stata profonda ancorché non completa. Il cost income dell’istituto toscano, per dire, è al 55%, contro il 100% di Vicenza. La Bce, il cui parere pesa tremendamente, ha caldeggiato il suo ingaggio. Dovrà rimettersi a lavorare in un cantiere che necessita di un paio di miliardi di aumento di capitale e di tagli draconiani. Niente che possa spaventare uno che ha passato gli ultimi cinque anni negli inferi di Mps.

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