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Una famiglia thienese

«Io e i miei bimbi
a Monaco in fuga
da quegli spari»

Anna Chiara RigoniFiori e lumini per le vittimeAlcuni clienti del centro messi in salvo dopo l’attacco di venerdì
Anna Chiara RigoniFiori e lumini per le vittimeAlcuni clienti del centro messi in salvo dopo l’attacco di venerdì
Anna Chiara RigoniFiori e lumini per le vittimeAlcuni clienti del centro messi in salvo dopo l’attacco di venerdì
Anna Chiara RigoniFiori e lumini per le vittimeAlcuni clienti del centro messi in salvo dopo l’attacco di venerdì

Di quelle ore interminabili restano «la paura che succedesse qualcosa ai miei figli e l’aiuto reciproco». Doveva essere un tranquillo pomeriggio di shopping, invece è stato l’inferno: panico, corse angosciate, grida. Alleviato però dalla solidarietà tra sconosciuti, pronti ad aprire le porte di casa a chi stava fuggendo dal terrore. C’era anche Anna Chiara Rigoni, 38 anni, di Thiene, venerdì al centro commerciale Olympia di Monaco di Baviera quando il giovane tedesco-iraniano Ali Sonboly, 18 anni, armato di pistola e 300 proiettili ha aperto il fuoco davanti al McDonald’s e poi tra i negozi, lasciandosi alle spalle nove morti e 27 feriti.

Rigoni, che vive a Monaco dalla scorsa estate con la famiglia, ripercorre con la mente quelle ore. «Ero al centro commerciale per fare compere con i miei figli di 6 e 3 anni e mia madre, qui in vacanza. Verso le 17.30 abbiamo visto un ragazzo che correva veloce e della gente che parlava preoccupata in gruppo. Subito abbiamo pensato che si fosse perso un bimbo, ma poi più persone hanno iniziato a correre e ci hanno detto che sparavano».

Da qui, il terrore di essere in trappola. «La gente correva ovunque cercando le uscite di sicurezza - aggiunge -, arrivavano notizie distorte dettate dal panico. Alcune persone urlavano dicendo che c’erano almeno tre uomini che sparavano con i mitra sulle persone e sui bimbi e che uno di loro sparava in strada dal tetto».

Non è stato semplice mantenere la lucidità per mettersi in salvo. «Ci siamo nascosti dietro ad una corsia e poi abbiamo seguito una commessa per le scale di emergenza fino a raggiungere un’uscita. Siamo rimasti tutti lì ad aspettare riparati per vedere se si potevano attraversare la strada e la piazza vicine. Ci siamo mossi in una cinquantina di persone assieme».

Qui è scattata la solidarietà tra sconosciuti, più forte della paura. «I residenti dei condomini vicini ci aprivano le porte per darci riparo e offrirci acqua. Nel frattempo arrivavano altre notizie distorte di spari in giro per la città. Dopo circa un’ora ci siamo rimessi a correre con altre due famiglie attraverso il villaggio olimpico per cercare di raggiungere Lerchenauer Strasse dove potevano arrivare le macchine e i taxi». Una corsa verso casa, per sentirsi di nuovo al sicuro. «Siamo arrivati a casa alle otto. Non ricordo molto di quei momenti se non l’aiuto reciproco e la paura che potesse succedere qualcosa ai miei figli».

Niente, nei giorni precedenti, aveva fatto presagire quanto stava per accadere. «Non c’era preoccupazione di alcun tipo - assicura Rigoni - e il clima era sempre tranquillo. Forse si respirava un po’ di tensione dovuta all’attentato della scorsa settimana sul treno a Würzburg, ma la vita continuava regolarmente».

La determinazione di non cedere alla paura sembra vincere ancora. «Oggi (ieri per chi legge, ndr) la gente, almeno nel nostro quartiere, è uscita, molti si sono ritrovati al lago a fare il barbecue come ogni fine settimana. Esiste una grande fiducia nelle istituzioni e nella polizia e questo forse ti mette nella condizione di proseguire con la vita quotidiana nonostante tutto. Resteremo qui».

Alessia Zorzan

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