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Vicenza

In bici sulla cima
dell’Everest scalando
6 volte Cima Grappa

Loreta Pavan sulla sua bici da corsa durante l’impresa Everesting
Loreta Pavan sulla sua bici da corsa durante l’impresa Everesting
Loreta Pavan sulla sua bici da corsa durante l’impresa Everesting
Loreta Pavan sulla sua bici da corsa durante l’impresa Everesting

VICENZA.  Ha scalato l’Everest in bicicletta, eppure dal San Bortolo il cielo è ancora più blu. Fermi tutti, c’è una logica. E si chiama Loreta Pavan, 56 anni, prestata dalla vita al ciclismo. Una storia, la sua, da raccontare con calma, ma il tempo, si sa, brucia in fretta ogni cosa. Anche se stesso.

L’IMPRESA. Mettetevi comodi in sella, si parte dall’ultima impresa compiuta, la scalata della montagna più alta del mondo. Sulle due ruote. «Che bàgolo xeo?». Si chiama Everesting, nomen omen, ed è la nuova frontiera degli amanti delle due ruote. Si tratta di raggiungere quota 8.848 metri in una volta sola e percorrendo la stessa strada. Per essere ancora più chiari, Loreta ci è salita da Cima Grappa, versante di Semonzo, venti chilometri ripetuti sei volte per un totale di 206 chilometri e 10.655 metri complessivi di dislivello macinati in 22 ore e 42’, di cui quasi 19 pedalando. Spiega: «Detto che si tratta di una sfida sia fisica che, soprattutto, mentale, dove con l’allenamento è necessaria la determinazione, sono partita alle 6.15 di mercoledì 13 settembre in una mattinata meravigliosa. Le prime tre salite sono state con il sole, poi il meteo ha cominciato a cambiare, tanto che temevo di dover rinunciare. Invece sono riuscita a concludere alle 4 del mattino di giovedì e con il tempo amico. Ogni volta che salivo mangiavo e mi vestivo, poi ripartivo. Erano gli unici momenti per recuperare, una delle regole è non dormire». Un’impresa epica, omologata con l’orgoglio di essere la prima donna che ha scelto il Grappa per questo. «È la montagna sacra dei vicentini e, permettetemi, la mia montagna».

LA SCELTA. Già, il primo amore non si scorda mai, soprattutto se hai rischiato di perdere ogni cosa. «Sono diventata randonneuse per caso. Mi avevano diagnosticato il male, avevo già perso le mie due sorelle per questo, e dovetti smettere di fare l’imprenditrice. Mi regalarono una bici da corsa ed io sorrisi un po’ scettica, poi trovai un volantino di una corsa nella cassetta della posta e cominciai. E così che ho imparato ad affrontare la malattia e a dedicarmi alle persone che vivono la mia stessa situazione. Lotto per me e per loro, per gli “Amici del quinto piano”, perché non si molla di un centimetro, perché ce la possiamo». Grinta ed eleganza, perché lei, Loreta, non rinuncia alla sua femminilità neppure fasciata nella tuta termica. Capello biondo e rossetto rosso non è passa inosservata neppure alla 999 miglia Roma-Matera-Roma. Galanteria oblige, però, cari maschi, attenti alle brutte figure: lei, Loreta Pavan, ha la gamba forte e la resistenza di un cavallo bretone (o di un mulo, se vogliamo essere locali) e se non state al passo vi sorride e se ne va. «C’è troppa vita da vivere». E ancora tanti orizzonti da raggiungere.

Qualche domenica fa in piazza dei Signori Loreta ha raccontato la sua storia a chi si è avvicinato al banchetto degli “Amici del quinto piano”, a lato dell’entrata della mostra di Van Gogh. Lì i volontari hanno raccolto fondi per sostenere lo Sportello Nutrizionale di prossima apertura al reparto di oncologia, che si trova appunto al quinto piano dell’ospedale cittadino.

Roberto Luciani

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