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Attentato a Istanbul

Il valdagnese
tra urla di panico
e disperazione

Il caos all’esterno dell’aeroporto Ataturk di Istanbul dopo l’attacco terroristico che ha provocato 42 morti e 239 feriti
Il caos all’esterno dell’aeroporto Ataturk di Istanbul dopo l’attacco terroristico che ha provocato 42 morti e 239 feriti
Il caos all’esterno dell’aeroporto Ataturk di Istanbul dopo l’attacco terroristico che ha provocato 42 morti e 239 feriti
Il caos all’esterno dell’aeroporto Ataturk di Istanbul dopo l’attacco terroristico che ha provocato 42 morti e 239 feriti

Urla, crisi di pianto, persone disperate in fuga. È stata questa la scena che si è presentata agli occhi di Andrea Crestani, 31 anni, di Valdagno, l’altra sera all’aeroporto Ataturk di Istanbul. Il valdagnese, che lavora come tecnico di macchine per concerie, si era recato al più importante aeroporto della capitale turca per prendere il volo che lo avrebbe riportato in Italia. Non poteva certo immaginare quello che lo avrebbe accolto al suo arrivo allo scalo.

LA TRASFERTA. Crestani si trovava in Turchia per una trasferta di lavoro. L’altro giorno aveva concluso le proprie attività nel Paese e si apprestava a tornare in patria. Aveva fatto quindi i bagagli e si era avviato verso lo scalo della capitale. Il volo era già stato prenotato. Al momento del suo arrivo l’attacco si era consumato da qualche decina di minuti. Di fronte agli occhi gli si è così presentata una scena terribile, con il via vai frenetico di polizia, ambulanze e altri mezzi di soccorso, il pianto disperato di chi era scampato all’attentato, la disperazione dei parenti delle vittime, 42 nel conto totale di ieri sera. Nel turbinio di lampeggianti, passavano le barelle che portavano i feriti nelle autolettighe per il trasferimento all’ospedale. Naturalmente non era in alcun modo possibile accedere all’aeroporto, blindato da un cordone di polizia e militari. Il viaggio per il ritorno in Italia è stato annullato e il tecnico valdagnese ha dovuto tornare sui propri passi e prenotare un altro volo.

IL CAOS. Crestani ha raccontato ai parenti quanto provato in quei terribili momenti. Allo stupore e allo sgomento suscitati dall’accaduto e dallo scenario che gli si parava di fronte, vanno aggiunti il senso di incertezza e tante domande alle quali, in quel momento, non si riusciva a dare risposta. Cos’era successo? Come doveva comportarsi? Dal racconto del tecnico emerge come in quei momenti non ci fosse nessuno in grado di dare informazioni su quanto era accaduto in aeroporto, sui voli programmati dai viaggiatori, su cosa, insomma, si potesse mettere in atto per uscire da quella situazione. Tutto risultava infatti bloccato, con lo scalo inaccessibile. Impossibile avvicinarsi, tanto meno entrare. Tutt’attorno, ancora lo sfrecciare delle ambulanze con i feriti, le sirene, poliziotti e militari che allontanavano i curiosi e proseguivano con i rilievi e le indagini sull’attacco.

L’ATTENTATO. Con il passare delle ore, il valdagnese ha potuto raccogliere le informazioni su quanto accaduto e comunicare alla propria famiglia che egli stava bene e non era stato coinvolto negli attacchi all’aeroporto. Si è delineata così la descrizione di un attentato portato a termine da un commando composto, secondo le prime ricostruzioni, da sette persone, le quali hanno fatto irruzione nello scalo sparando sui viaggiatori e sul personale dell’aeroporto. Infine, tre di essi si sono fatti saltare in aria con dell’esplosivo. Nel giro di poche ore, hanno iniziato anche a circolare le immagini riprese dai testimoni con gli smartphone e dalle telecamere del circuito di videosorveglianza dello scalo aeroportuale. Immagini crude, che documentano istante dopo istante la tragedia, con l’arrivo e l’incursione degli attentatori e le esplosioni che giungono alla fine a seminare morte e distruzione.

LA RIFLESSIONE. Crestani è alla fine rientrato ieri in Italia e ha potuto così riabbracciare la sua famiglia. Ai parenti, il tecnico valdagnese ha confidato con amarezza come questi eventi stiano influenzando il suo punto di vista. «Viaggio per lavoro - ha spiegato ai familiari dopo il ritorno in patria -, ma sono stanco di spostarmi provando sempre uno stato di ansia e di far provare così tanta tensione alla mia famiglia».

Matteo Carollo

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