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Vicenza

Il prete denuncia
«In carcere inni
agli attentatori»

Il 17 novembre l’Isis ha rivendicato gli attentati di Parigi in cui sono morte 129 persone, molti giovani
Il 17 novembre l’Isis ha rivendicato gli attentati di Parigi in cui sono morte 129 persone, molti giovani
Il 17 novembre l’Isis ha rivendicato gli attentati di Parigi in cui sono morte 129 persone, molti giovani
Il 17 novembre l’Isis ha rivendicato gli attentati di Parigi in cui sono morte 129 persone, molti giovani

 

VICENZA. «Allah Akbar. All’interno del carcere si sentono spesso gli islamici che inneggiano al loro Dio. Si tratta di giovani dai 20 ai 30 anni che si professano musulmani, ma non sanno nemmeno che cosa ci sia scritto nel Corano. Ragazzi che, probabilmente, provano simpatia per lo stato islamico perché vedono negli atti di terrorismo una sorta di ribellione contro i loro fallimenti. È accaduto dopo le stragi di Parigi, ma anche in passato».

Don Luigi Maistrello è il cappellano della casa circondariale di Vicenza. Lo è da poco più di un anno, quando il vescovo Beniamino Pizziol decise che doveva lasciare la parrocchia di Grumolo della Abbadesse per sostituire don Agostino Zenere che, per molti anni, seguì i detenuti di via della Scola.

Da sempre impegnato nel mondo del sociale, don Luigi trascorre molte ore della sua giornata tra i reclusi di San Pio X. «Ho sempre sostenuto - ribadisce - che i terroristi non sono nelle moschee, bensì nelle periferie, le banlieue francesi, piuttosto che quelle belghe e non solo. Chi vive isolato, emarginato, chi delinque per vivere e poi arriva in carcere non ha una grande considerazione per la società occidentale. Vede, nelle restrizioni di qualunque natura, una forma di controllo che vorrebbe evitare. Non esiste cultura o conoscenza che non sia soltanto legata alla sopravvivenza».

Allah Akbar, Allah è il più Grande. Due parole che i sopravvissuti alle stragi di Parigi del 13 novembre scorso faranno fatica a dimenticare. I terroristi hanno iniziato a sparare al Bataclan, una sala concerti stipata da ragazzi, piuttosto che lungo le strade inneggiando al loro dio. «I giovani che sono in carcere in città non sono certo terroristi - prosegue don Maistrello -, ma sicuramente non nascondono simpatie nei confronti di quanto sta avvenendo nel mondo arabo con la nascita dello stato islamico. Come dicevo si tratta di una forma di rivalsa rispetto alle loro condizioni. Situazioni che nascono dall’emarginazione. E con loro è molto difficile lavorare. Sono quelli che non rispettano le regole e di conseguenza sono complessi da gestire e devo dire che, a volte, fanno veramente impazzire gli agenti penitenziari. Hanno dai 20 ai 30 anni, devono scontare pene per spaccio di sostanze stupefacenti. Non partecipano a nulla, al contrario di altri musulmani che pregano, rispettano il Ramadan. Questi leggono il Corano e sanno distinguere i terroristi, di cui si parla già da tempo, rispetto ai musulmani che credono nella loro religione e la professano in modo sereno, tranquillo e trasparente».

A San Pio X il numero dei detenuti oscilla di giorno in giorno, ma si attestano attorno ai 230: il 60 per cento sono immigrati. Venti le etnie rappresentate anche se quelle del Nord Africa sono le più numerose e tra loro più del 30 per cento è di religione islamica. Il restante 40 per cento è rappresentato da italiani.

Dopo le stragi di Parigi ci sono stati problemi in alcune carceri italiane: a Genova ci sono state perquisizioni alla ricerca di fiancheggiatori, del resto il capoluogo ligure non è lontano dalla Francia, e ancora a Rossano, paese della costa ionica calabrese, dove sorge quella che viene chiamata la “Guantanamo italiana”. Nella notte del 13 novembre nella struttura cosentina, dove si trovano 21 detenuti accusati di terrorismo internazionale (molti affiliati ad Al Qaeda, e qualcuno accusato di fiancheggiamento nei confronti dell’Isis), hanno esultato al grido “Viva la Francia libera”.

«Non siamo a questi livelli - conclude il cappellano di San Pio X -, la loro rabbia nasce dall’incapacità di accettare la propria storia per cui vedono in questo presunto stato islamico una sorta di ribellione e di possibile liberazione della loro condizione attuale».

Chiara Roverotto

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