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Il futuro della Popolare
in gioco oggi a Bruxelles
Padoan: vedo progressi

Buona parte del futuro delle ex Popolari venete si decide oggi nei palazzi della politica europea
Buona parte del futuro delle ex Popolari venete si decide oggi nei palazzi della politica europea
Buona parte del futuro delle ex Popolari venete si decide oggi nei palazzi della politica europea
Buona parte del futuro delle ex Popolari venete si decide oggi nei palazzi della politica europea

Fabrizio Viola sta friggendo. Gianni Mion medita addirittura di andarsene. L’ad e il presidente della Banca Popolare di Vicenza si guardano bene dall’esternare il proprio scoramento. Ma da quando Margrethe Vestager, commissaria dell’Ue alla concorrenza, ha tirato fuori dal cilindro il miliardo supplementare di capitale privato quale condizione necessaria per dare il via libera agli inevitabili, e urgenti, aiuti di stato (fino a 6,4 miliardi) per avviare la fusione con Veneto Banca, i due massimi dirigenti di BpVi si sentono un po’ presi per i fondelli. Dal momento che trovare investitori privati disposti a rischiare un miliardo nei due istituti di Vicenza e Montebelluna è semplicemente impossibile, peraltro dopo che il fondo Atlante di miliardi ne ha già iniettati 3,5, questa richiesta dell’Ue diventa tremendamente simile a una dichiarazione di fallimento. Ecco perché l’incontro fissato oggi a Bruxelles è fondamentale per capire se l’intenzione è quella di staccare la spina su una o su entrambe le ex Popolari venete.

IL VERTICE. Viola e Cristiano Carrus, ad di Veneto Banca, si confronteranno con la direzione generale della concorrenza dell’Ue e con i rappresentanti del Tesoro. L’obiettivo è quello di fare il punto sulla richiesta di ricapitalizzazione precauzionale avanzata dai due istituti veneti, rimasti spiazzati dalle ultime uscite della Vestager. Che, oltre a chiedere un miliardo di capitali privati, in un’intervista a La Stampa ha candidamente ammesso che, a differenza del caso Mps ormai in via di definizione, «con le venete non siamo tanto avanti». L’approccio da bradipo a operazioni della massima urgenza non è stato certo foriero di conseguenze positive per le due banche: solo nel 2016, a causa dell’incertezza e dai dubbi sul futuro, BpVi ha perso 6,2 miliardi di raccolta e Veneto Banca 8,1. Un po’ più di celerità nell’implementazione dei piani non sarebbe guastata. Il progetto di fusione, con il doloroso corollario in termini di tagli occupazionali, è stato presentato da tempo, ma è stato nell’ultimo giro di consultazioni sullo smaltimento dei 10 miliardi di sofferenze lorde che Bruxelles ha aggiunto l’ostacolo del miliardo privato. E a chi lo va a chiedere Viola?

IL MINISTRO. È evidente che adesso la questione è più politica che economica. Che i numeri delle due banche siano negativi, basta esaminare gli ultimi documenti di bilancio per confermarlo. Dal canto suo il parlamento ha dato il via libera alla fine del 2016 al cosiddetto decreto salva-banche ma adesso si trova nell’impossibilità di consentire l’utilizzo di parte dei 20 miliardi stanziati per BpVi e Veneto Banca dal momento che non sussisterebbero tutte le condizioni previste dalle norme europee. È qui che entra in gioco il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, reduce da una lunga e snervante trattativa per Mps e ora alle prese con le venete, mantiene dall’inizio il più stretto riserbo. Non si sa per la preoccupazione di fronte agli ostacoli frapposti da Bruxelles o se per la convinzione di doverla gestire a fare spenti al fine di ottenere il risultato migliore. Ieri, di fronte alle notizie uscite sui giornali circa il miliardo di capitale privato chiesto dall’Ue, ha fatto una piccola eccezione e ha diffuso un grammo di ottimismo: «Non commento voci - ha premesso - di voci ce ne sono tante, e non lo faccio per ovvie ragioni quando si tratta di banche. Garantisco però che stiamo facendo progressi nel pieno rispetto delle regole».

LE BANCHE. Come detto, il pallino adesso è nelle mani della politica. Il piano per la fusione è stato consegnato da tempo e tutti sanno che senza l’ingresso dello Stato le due ex Popolari possono già tirare giù le saracinesche. Il presidente Mion, che della fusione è dall’inizio il primo e più convinto sostenitore, non digerirebbe di certo un pollice verso dagli arcigni commissari europei. Dovesse succedere, toglierebbe il disturbo.

Marino Smiderle

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