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Vicenza

I profughi contro
l’hotel: «Lavori
e cibo scadente»

Momenti di tensione all'hotel Adele (Colorfoto)
Momenti di tensione all'hotel Adele (Colorfoto)
Momenti di tensione all'hotel Adele (Colorfoto)
Momenti di tensione all'hotel Adele (Colorfoto)

«Questo posto non va bene per noi». Lo hanno ripetuto più volte, arrivando a scendere in strada e ad affollare il marciapiedi che costeggia via Medici. «Il cibo è cattivo e siamo trattati come schiavi». Sono le parole dei profughi che vivono all’hotel Adele, protagonisti, nel tardo pomeriggio di ieri, di una protesta improvvisata che inizialmente ha fatto temere per il peggio. L’arrivo in forze di diverse pattuglie dei carabinieri di Vicenza ha però stemperato gli animi, riportando a più miti consigli i migranti.

I FATTI. La vicenda ha inizio intorno alle 18.30. Non è ancora chiaro cosa abbia innescato la rabbia dei richiedenti asilo, nell’albergo a due stelle che può ospitare fino a 150 persone. Ad un certo punto, dunque, circa venticinque immigrati di diverse nazionalità escono in strada, si riversano sul marciapiede. La tensione cresce minuto dopo minuto e i carabinieri che già si trovano all’esterno della struttura, in via precauzionale chiedono rinforzi. All’albergo di via Medici arrivano dunque altre pattuglie per evitare che la situazione possa degenerare. L’aria si surriscalda e il timore è che anche la minima mossa, possa far esplodere la rabbia dei cittadini stranieri. Fortunatamente in breve gli animi si placano, anche se alcuni cittadini immigrati rimangono sul marciapiede anche dopo che gli uomini dell’Arma se ne sono andati.

LE TESTIMONIANZE. Nessuno di essi parla la lingua italiana, si esprimono nelle proprie lingue madri, al massimo in un inglese che tradisce le inflessioni dei rispettivi idiomi. «Questo posto non va bene per noi - spiega Lucky Best, cittadino nigeriano, il quale si fa interprete delle voci dei diversi compagni -. Il cibo è cattivo e ci trattano come degli schiavi, come dei servi». Attorno a lui le voci si accavallano, si susseguono gesti fatti con le mani: tutti vogliono rendere noti i motivi della protesta. C’è chi si arrabbia, chi urla, chi cerca di mettere ordine riportando alla calma i più esagitati. «Sono qui da otto mesi - racconta Victor Ecka, 30 anni, anch’egli proveniente dalla Nigeria -. Non vogliamo andare via da Vicenza, anzi, ci piacerebbe restare qui, in città. Però vogliamo andare a vivere in un altro posto». «Non abbiamo bottiglie d’acqua per bere - racconta un altro dei richiedenti asilo -. Siamo costretti a bere l’acqua dei bagni». Getta acqua sul fuoco, la gestione dell’albergo: «È stato un normale controllo da parte dei carabinieri».

IL PRECEDENTE. Quella di ieri non è la prima protesta dei profughi nel Vicentino. Una situazione analoga, mossa da motivazioni simili, si era infatti prodotta nell’ottobre scorso, vedendo come protagonisti 26 migranti alloggiati prima all’hotel Tina e poi all’hotel Zeghele di Roana, sull’Altopiano di Asiago. La mattina del 21 ottobre il gruppo era partito a piedi alla volta della prefettura di Vicenza al grido di «Pasta no buona! Basta pasta! Noi vogliamo cibo africano!». I richiedenti asilo, giovani senegalesi, nigeriani, ghanesi e gambiani, si erano lamentati anche per il freddo, per l’organizzazione e per la noia che caratterizzava, a loro dire, le giornate sull’Altopiano. Una delegazione di profughi era stata ricevuta negli uffici di contrà Gazzolle e aveva spiegato i motivi dell’iniziativa. Alla fine, i migranti erano stati caricati su un autobus e rispediti a Roana.

I NUMERI. Al momento sono 1.523 i richiedenti asilo ospitati nel territorio vicentino. Per raggiungere il tetto massimo previsto per la provincia berica, mancano ancora un centinaio di persone. Poi, i posti a disposizione saranno esauriti. Nel frattempo, l’apposita commissione istituita dalla prefettura continua ad esaminare le pratiche di richiesta di asilo. Secondo le stime, di norma il riconoscimento pieno riguarda il 13 per cento dei richiedenti, la misura della protezione sussidiaria viene concessa all’11 per cento e i permessi umanitari, emessi solitamente per questioni di salute, interessano circa il 4 per cento delle richieste.

Matteo Carollo

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