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S. Vito di Leguzzano

«Ho accoltellato
mio nipote perché
stava con l’Isis»

di Matteo Bernardini
Un corteo di miliziani jihadisti appartenenti alle truppe dello Stato islamico. FOTO ARCHIVIO
Un corteo di miliziani jihadisti appartenenti alle truppe dello Stato islamico. FOTO ARCHIVIO
Un corteo di miliziani jihadisti appartenenti alle truppe dello Stato islamico. FOTO ARCHIVIO
Un corteo di miliziani jihadisti appartenenti alle truppe dello Stato islamico. FOTO ARCHIVIO

«Ho accoltellato mio nipote per difendermi. Lui era solito aggredirmi e picchiarmi per allenarsi. Lo faceva perché aveva sposato la causa della “jihad” contro gli occidentali. Era sua intenzione, infatti, recarsi in Afghanistan per combattere». Frasi che Mohammed El Morsli, 49 anni, ha ripetuto ai carabinieri di Schio dopo essere stato fermato per l’aggressione di Anass El Morsli, 25 anni, avvenuta nel marzo del 2014. Inizialmente lo zio, difeso dall’avvocato Anna Sambugaro, era stato accusato di tentato omicidio; poi, però, l’accusa nei suoi confronti è stata derubricata a lesioni aggravate dall’uso dell’arma. Ieri, davanti al giudice De Stefano, si è aperto il processo nei suoi confronti. E dai verbali dei carabinieri della compagnia di Schio è emersa la testimonianza dell’imputato. Che indica il nipote come presunto affiliato alla “guerra santa”. Del 25enne, tra l’altro, ricoverato all’ospedale di Santorso dopo l’accoltellamento, da più o meno due anni, non si avrebbero più notizie. Una volta dimesso aveva anche deciso di non sporgere querela nei confronti dello zio spiegando che quella lite, in sostanza, era stata una specie di malinteso. Di più, che Mohammed non l’aveva ferito. Quindi la scomparsa.

IL LAVORO IN COOPERATIVA. Anass El Morsli, secondo le carte processuali, risultava essere in Italia con regolare permesso di soggiorno. Al momento dell’aggressione aveva anche un lavoro stabile in una cooperativa di San Tomio che svolgeva servizi per conto della società De Roma di Malo. Il nordafricano, come aveva riferito ai militari dell’Arma, percepiva uno stipendio mensile di circa 1.400 euro. Eppure lo zio, nullafacente, lo accusava anche di sfruttarlo economicamente. Una situazione insomma dai risvolti tutti da chiarire. Come il fatto che la presunta vittima da due anni sia di fatto irreperibile. Le notifiche relative al ritiro degli atti giudiziari e della convocazione in aula per l’inizio del dibattimento sono sempre andate a vuoto.

VERIFICHE DELLA POLIZIA. Dopo quanto riferito dallo zio in merito alla volontà del nipote di recarsi in Estremo Oriente per combattere gli “infedeli”, i carabinieri di Schio avevano subito allertato i colleghi della polizia per ulteriori accertamenti. Nel corso della perquisizione dell’alloggio di Anass, però, i poliziotti non avrebbero rintracciato documenti inneggianti alla “jihad”, ma solo alcuni coltelli che al momento erano stati posti sotto sequestro. Del 25enne, pochi giorni dopo essere stato dimesso, le tracce si sarebbero perse. Avrebbe lasciato il comune dove risultava residente e pare persino il lavoro alla cooperativa in cui era impiegato stabilmente.

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