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Vicenza

Gioca a pallavolo
con un rene nuovo
Vince la medaglia

L’atleta Barbara Perpenti, con il numero 2, “addenta” la medaglia con i suoi compagni di squadra
L’atleta Barbara Perpenti, con il numero 2, “addenta” la medaglia con i suoi compagni di squadra
L’atleta Barbara Perpenti, con il numero 2, “addenta” la medaglia con i suoi compagni di squadra
L’atleta Barbara Perpenti, con il numero 2, “addenta” la medaglia con i suoi compagni di squadra

VICENZA. Mamma Eduige le ha donato un rene. Paola Beggio, presidente dell’Aido di Vicenza, le ha regalato l’entusiasmo per il volley. A Malaga, dove ha partecipato con la maglia azzurra ai World transplant games, i Giochi mondiali per trapiantanti, ha vinto, anche se con una gamba infortunata, la medaglia di bronzo, «ma io - dice - avevo già vinto la mia medaglia d’oro, il trapianto, la vita». Barbara Perpenti, 41 anni, torna dalla Spagna a Monteviale con una certezza in più: «Non avrei mai vissuto questa straordinaria esperienza senza il dono che mia madre mi ha offerto per due volte. È stata lei a farmi nascere e rinascere». Sì, le madri hanno inventato l’amore sulla terra. Un amore incondizionato, che non ha bisogno di essere meritato. Le mamme non hanno paura del rischio, del sacrificio. Le mamme come Eduige Rivoli, 68 anni, che un giorno alla figlia ha donato un rene salvandola dalla gabbia della dialisi. Eduige ha sempre lavorato con il marito Teobaldo, 70 anni. Prima a Monteviale avevano un panificio, oggi un negozio di alimentari. Per loro quella figlia è un tesoro unico. Un giorno Barbara, malata di nefrite cronica e una esistenza che sembrava al capolinea, se li vide tutti e due attorno: «Vogliamo darti uno dei nostri reni». Fu poi il dott. Stefano Chiaramonte a scegliere come donatrice la mamma. Il 28 aprile del 2015 Eduige e Barbara entrano in due sale operatorie confinanti. L’allora primario di urologia Andrea Tasca preleva il rene di Eduige, e il chirurgo Oscar Banzato lo trapianta su Barbara. Per la ragazza di Monteviale sboccia la seconda vita.

Otto mesi dopo, l’invito di Paola. «Mi dice: vieni con me a vedere una partita a Mestre? Gioca una squadra di ragazze trapiantate. Verrei, le rispondo, solo se potessi giocare». La sua storia di giocatrice di volley nasce così. Ed è un altro grande amore. Con questa nazionale Barbara ha girato l'Italia per far capire l’importanza delle donazioni. E ora, con la spedizione italiana sostenuta da Aned onlus, l’associazione dialisi e trapianti, ha vissuto il sogno, unica vicentina fra 38 azzurri, di gareggiare a un torneo mondiale che si svolge ogni due anni, in un Paese diverso. A Malaga si sono sfidati più di 2 mila atleti di 52 nazioni, uniti dal filo sottile dell’esperanto del dolore e della resurrezione. Una emozione unica e indescrivibile. La stessa che spezza, fa impazzire e strega il cuore. Nella cerimonia di inaugurazione le rappresentative sfilano con la loro bandiera.

«Io avevo in mano il tricolore, ero con i miei compagni di squadra, con il rene di mia madre, l’amica che mi ha sostenuto in ogni giorno della malattia dagli spalti. E non ero lì per mettermi in vetrina o essere compatita, ma per essere di stimolo a tutti coloro che stanno soffrendo, dare coraggio a chi può donare e speranza a quanti sono in attesa di un trapianto. In coda hanno sfilato i donatori. Un unico gruppo. È calato il silenzio ed è scoppiato l’applauso. La mia mano è scivolata sopra il mio nuovo rene ed il pensiero è volato a mia madre. Tra due anni, a New Castle, farò di tutto per portarla con me».

Poi la partita e, qualche punto prima della fine, un fastidioso infortunio al polpaccio sinistro. Rabbia, impotenza, delusione. Barbara non può più giocare. Le lacrime mentre i compagni la portano in braccio al bordo del campo. L’sms del team manager Nicola Scalamogna: «Siamo tutti con te». Lo spirito agonistico lascia posto ai valori: «Quando scendiamo sul parquet non siamo solo 6 pallavolisti, ma 12 persone: 6 atleti e 6 donatori». L’Italia sale sul podio dietro ad Olanda ed Argentina. La medaglia di bronzo è azzurra. Barbara sale sulla pedana sostenuta dai compagni. Una gioia immensa. Ma anche tante lezioni di umanità: «Un ragazzo, dopo essere stato premiato, è corso verso le tribune, ha alzato la maglietta, ha indicato una cicatrice sul petto lasciata dal trapianto di cuore, e si è messo ad urlare grazie».

Franco Pepe

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