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La gara

Fino in Siberia
al volante
di una Fiat Uno

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Il team vicentino e la Fiat Uno che porterà i quattro amici in Siberia
Il team vicentino e la Fiat Uno che porterà i quattro amici in Siberia
Il team vicentino e la Fiat Uno che porterà i quattro amici in Siberia
Il team vicentino e la Fiat Uno che porterà i quattro amici in Siberia

Scegliete la Spagna. Scegliete un'isola della Grecia. Scegliete un Paese dell'Europa dell'est. Oppure scegliete la Mongolia. Anzi, una città di 400 mila abitanti come Ulan Ude situata appena dopo il confine, in terra siberiana. Sceglietela come meta delle vacanze, come hanno deciso di fare quattro "folli" vicentini che sabato sono saliti a bordo dello loro Fiat Uno classe 1990 per giungere dall'altra parte del mondo. Diego Montagna, Bruno Scortegagna, Mattia Diquigiovanni e Diego Agerde ci andranno guidando quella vecchia automobile pagata 100 euro e rimessa a nuovo grazie agli sponsor. Alla domanda «perché?», seguono due risposte. La prima è d'istinto: «E perché non dovremmo farlo?». La seconda è tecnica: «Abbiamo deciso di partecipare al Mongol Rally».

 

LA CORSA PAZZA. Iniziata nel 2004 dall'Italia come una corsa per pazzi scatenati con fini umanitari, la Mongol Rally ha mantenuto sì il suo scopo benefico ma è cresciuta a dismisura diventando la corsa amatoriale più grande del mondo con centinaia di partecipanti. Sarà per lo spirito; sarà per i 15 Paesi da attraversare; sarà per la voglia di divertirsi o per quel (non) regolamento che si fonda su una frase: "Unleash the unexpected" (scatena l'inaspettato). Le regole sono poche. Un punto di partenza (quest'anno Praga) e uno di arrivo: Ulan Ude in Siberia. In mezzo la possibilità di scegliere il percorso che si vuole, tra insidie e terre desolate. Non ci sono premi, non ci sono classifiche né navigatori. E c'è un vincolo: la vettura per arrivare laggiù (15.408 chilometri) deve essere vecchia e dotata di motore al massimo di 1000 cc. «La nostra vettura - racconta Montagna - ha quasi trent'anni». Ed è costata 100 euro tondi.

 

TUTTO INIZIA... L'avventura dei quattro del Genghis One («Questo il nome scelto dal nostro team per richiamare Gengis Khan e la traduzione in inglese della nostra Uno») comincia da qui. Dall'acquisto della vettura. «Era il febbraio del 2017 e io e Mattia eravamo a sciare. Mi ha chiesto se avessi mai sentito parlare di Mongol Rally e io conoscevo quella gara. Lì è scattata la scintilla. Tutti e due sapevamo che ci sarebbe servita un'automobile giusta ma non ce l'avevamo. Poi una sera, a Malo, abbiamo visto due signore che spingevano in strada una Fiat Uno rossa che aveva problemi. Siamo andati a dare una mano. Questa, è stato il primo pensiero, sarebbe la macchina adatta al Mongol Rally. Abbiamo chiesto alle due signore di Schio che problema avesse, le abbiamo aiutate e abbiamo chiesto quanti soldi volessero per vendercela. Con 100 euro, ci hanno risposto, potete venirvela a prendere». Affare fatto. Poi, a settembre, matura l'idea: «Dobbiamo andare al Mongol Rally. E siamo partiti con l'organizzazione. Abbiamo cercato gli sponsor, le grafiche, abbiamo cambiato ammortizzatori, radiatore e parti meccaniche. E via con la parte più difficile, la burocrazia: serviva il visto per sette Paesi».

 

FOLLIA E BENEFICENZA. C'è una dose di sana follia, certo. E ai quattro non manca. Montagna, 29 anni di Brogliano, ha raggiunto il campo base del monte Everest (6.189 metri) e ha percorso il cammino di Santiago. Diquigiovanni, 30 anni anche lui di Brogliano, si è fatto 1.200 chilometri a piedi in 8 settimane in Nuova Zelanda. Con loro anche Diego Agerde, 34 anni, di Nanto, che ha annunciato alla sua famiglia del viaggio la sera prima di salire in auto, e Bruno Scortegagna 33 anni di San Vito di Leguzzano. «È l'avventura più folle e bella del mondo andare fino in Siberia con una Fiat Uno. Talmente folle da sembrare impossibile. Siamo gasati», dicono. Ma c'è anche l'altruismo. «Il rally prevede che ogni team versi una somma pari a mille euro in beneficenza. Da una parte c'è un progetto indicato dall'organizzazione e dell'altra c'è un progetto umanitario scelto dalla singola squadra». E i ragazzi di Genghis One hanno scelto di appoggiare "Una ger per tutti" di David Bellatalla. «È un antropologo di La Spezia che opera ormai da parecchi anni, assieme alla Croce Rossa della Mongolia, a sostegno delle madri single con bambini disabili che vivono nel distretto Chingeltei della città di Ulan Bator (Mongolia). Il suo progetto prevede la costruzione di un campo Ger (la tenda tradizionale della popolazione nomade della Mongolia) per fornire alloggio alle madri con i loro figli. Noi porteremo tre tende». Per arrivare al traguardo, del rally e della beneficenza, ci sono 15 mila chilometri di passione.

Nicola Negrin

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