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Partito dal Vicentino

Dal lago riemerge
il caccia Usa
precipitato nel ’51

Le fasi del recupero di una parte della carlinga del P51 Mustang dalle acque del lago di Garda
Le fasi del recupero di una parte della carlinga del P51 Mustang dalle acque del lago di Garda
Le fasi del recupero di una parte della carlinga del P51 Mustang dalle acque del lago di Garda
Le fasi del recupero di una parte della carlinga del P51 Mustang dalle acque del lago di Garda

La verità torna a galla 65 anni dopo. Sono stati recuperati ieri dal fondo del lago di Garda i resti di un aereo militare partito da Vicenza e precipitato nelle acque del Benaco il 7 agosto del 1951. Si trattava di un caccia americano dell’Aeronautica militare italiana che doveva arrivare all’aeroporto di Orio al Serio, dove non giunse mai. Nell’impatto perse la vita il giovane pilota Paolo Tito, che aveva 29 anni.

IL DRAMMA. Era il 2013 quando i resti del velivolo e di una storia quasi dimenticata riemersero dal nulla. Erano stati i sommozzatori di Salò a raccontare cosa era accaduto a quell’aereo militare partito dall’aeroporto di Vicenza e che si era inabissato nel lago trasportando con sè il pilota, originario di Caserta, che aveva un domicilio anche in città. Il velivolo, un Mustang P51, era stato rintracciato a settanta metri di profondità e a un miglio dal centro abitato di Lazise. Il tutto grazie anche alla testimonianza di Egidio Isotta: suo padre aveva portato con la barca i palombari sul luogo della caduta, permettendo al Rov, il robot subacqueo, d’individuare al primo colpo i resti del Mustang. Nell’agosto del ‘51 il tenente Tito si era alzato in volo per riportare l’aeroplano alla base bergamasca dopo una revisione al motore. «In quegli anni parecchi furono gli incidenti, anche mortali, accaduti a questi aerei strausati durante la seconda guerra mondiale dagli Alleati e lasciati, nel dopoguerra, in dotazione agli italiani», aveva spiegato tre anni fa Diego Vezzoli, appassionato ricercatore aeronautico del gruppo Air Crash Po. In quegli anni l’aeroporto di Vicenza era utilizzato dall’Aeronautica militare per le riparazioni dei velivoli. Furono centinaia gli aerei sistemati negli hangar di viale Sant’Antonino, dove c’erano squadre specializzate, a fianco di dove oggi è sorta la nuova base americana e dove dovrebbe sorgere il Parco della Pace. Tito fra l’altro era stato più volte a Vicenza, anche per altre attività, tanto che nella sua scheda lavorativa di militare veniva indicata come “seconda domiciliazione” proprio Vicenza. E su quei mezzi, costretti a continue riparazioni volavano i nostri avieri come Tito che «percorse senza problemi il primo tratto di volo». «Dopo una decina di minuti, passata la Valpolicella, il motore appena revisionato cominciò ad avere problemi», aveva spiegato Vezzoli. Il Mustang perse rapidamente quota. L’aeroporto più vicino era Ghedi, nel Bresciano, ma lì non sarebbe mai arrivato.

L’INCIDENTE. Tito decise di ammarare, o almeno di portare l’aereo lontano dalle case prima di lanciarsi. La superficie era calma, non c’era vento. Purtroppo per Tito però non ci fu nulla da fare. Una volta recuperato il corpo dai palombari gli vennero tributati, a Lazise, gli onori militari prima del trasporto della salma a Caserta, luogo nativo della vittima. I rapporti dell’Aeronautica dei giorni successivi descrivono il pilota come «abilissimo nella guida» e concludono che con tutta probabilità il guasto al motore fu la causa dell’incidente. «Eravamo sulla terrazza dell’albergo Bellavista di via Roma a Cavaion - raccontò Leonardo Tramonte -. Sapevamo del passaggio del tenente Tito che aveva comunicato il suo volo sulla zona a una ragazza del paese per cui nutriva simpatia. E in effetti il Mustang passò sopra di noi. Solo più tardi venimmo a conoscenza della sua tragica sorte».

IL RECUPERO. Di quel velivolo i sommozzatori «Volontari del Garda» hanno ritrovato i relitti sparsi su un’area di trecento metri a 70 metri di profondità. Verso la costa di Lazise l’ala destra, la prima a toccare l’acqua e a staccarsi. Lì vicino il carrello e la ruota, la coda e l’elica. Verso la sponda bresciana, la seconda ala con un tratto di fusoliera e la cabina di pilotaggio, il motore e tanti piccoli pezzi. Accartocciati e contorti come possono essere i resti di qualcosa che si schianta a oltre 300 chilometri all’ora. «Un Mustang si inabissa nel lago di fronte al paese. Il cadavere del pilota non ancora ripescato», titolava L’Arena l’8 agosto 1951. Ora l’aereo è riemerso. Sarà ricostruito ed esposto al museo “Volandia” di Somma Lombardo.

Diego Neri

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