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Dagli Usa all’Asia
La ditta di catene
che ha vinto la crisi

Lo stand dell’azienda Chrysos di Romano d’Ezzelino all’interno dei padiglioni di VicenzaOro September
Lo stand dell’azienda Chrysos di Romano d’Ezzelino all’interno dei padiglioni di VicenzaOro September
Lo stand dell’azienda Chrysos di Romano d’Ezzelino all’interno dei padiglioni di VicenzaOro September
Lo stand dell’azienda Chrysos di Romano d’Ezzelino all’interno dei padiglioni di VicenzaOro September

Una crescita costante e 130 dipendenti mantenuti e aumentati durante gli anni della crisi. La ricetta? Carlo Bernardi, fondatore di Chrysos insieme al fratello Francesco, non ha dubbi: «Innovazione e viaggiare tanto per conoscere i mercati».

L’azienda di catene di Romano d’Ezzelino è nata 30 anni fa come tante imprese venete: due fratelli in un locale di 100 metri quadri, che, con passione e il campionario in valigia, hanno dato il via a una storia di successo, crescendo negli anni buoni e anche in quelli difficili, come l’ultima crisi, che ha dimezzato le aziende di catene del Bassanese. «L’abbiamo superata innovando – afferma –. Abbiamo iniziato a farlo 30 anni fa, rinnovando il prodotto anno dopo anno. Investiamo molto in ricerca e sviluppo e facciamo tutto al nostro interno. Non so se sia un plus o no, ma visto il risultato probabilmente abbiamo fatto la scelta giusta. Un’azienda, del resto, non può cambiare direzione da un anno all’altro, deve intraprendere una strada e proseguire su quella».

A proposito di cammino, l’altro punto di forza è proprio viaggiare per capire i diversi Paesi. «Ci siamo rivolti a tutti i mercati – continua Bernardi - viaggiando molto e facendo fiere. Per noi l’export rappresenta oltre il 90 per cento del fatturato, anche se ci piacerebbe crescere un po’ in Italia, in numeri assoluti. Oggi esportiamo in 60 Paesi, soprattutto verso gli Usa e l’Estremo Oriente, ma cerchiamo di essere un po’ dappertutto. Bisogna andare a vedere quali sono i problemi nei posti in cui lavori, avere una buona conoscenza del cliente e del contesto competitivo in cui ci si muove, fare ricerca sui contenuti. Per questo è necessario andare in loco. Oggi, infatti, il bel prodotto deve esserci, ma da solo non basta, bisogna sapere cosa serve al mercato e anche essere forti nella vendita. Noi, infatti, al momento stiamo crescendo ogni anno e anche assumendo dipendenti, ma credo che dovremmo potenziare la parte commerciale. La supply chain cambierà e dobbiamo evolverci, per arrivare più a valle nella distribuzione». Anche attraverso l’e-commerce. «Non lo abbiamo ancora, ma ormai non si può non farlo, fa parte della normalità».

Per quanto riguarda l’evoluzione, l’azienda 10 anni fa ha lanciato un proprio brand, Officina Bernardi, che propone anche in un proprio monomarca in piazza San Marco a Venezia. «È stato un passo importante che fa parte della nostra strategia di sviluppo. Lo stiamo spingendo soprattutto negli Usa, ma abbiamo anche il nostro punto vendita inaugurato a marzo in piazza San Marco. Per festeggiare i nostri 30 anni abbiamo portato a Venezia tutti i dipendenti, perché credo che la soddisfazione sia il primo stipendio per una persona e che il senso di appartenenza sia importante».

Non tutto, però, è rose e viole anche secondo l’imprenditore orafo: «Stiamo andando bene ma di problemi nel mercato ce ne sono. In primis la concorrenza dei nuovi produttori asiatici, che oltre a competere a prezzi molto più bassi stanno marchiando i prodotti che vendono in loco “made in Italy”. Questo significa che il nostro Paese ha potenzialità e che il marchio è interessante, ma chi controlla? Un’altra questione che si discute da anni sono i dazi verso gli Usa. Il Ttip non c’era nemmeno prima di Trump, perché se Obama avesse voluto avrebbe avuto il tempo di chiuderlo, come ha fatto il Canada col Ceta. Noi imprenditori siamo abituati a risolvere da soli i problemi, ma su questi non possiamo fare nulla, dovrebbe pensarci lo Stato».

Maria Elena Bonacini

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