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La Cassazione

Confiscate 64 case
a vicentino comprate
grazie alla droga

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un vicentino
Molte delle abitazioni confiscate sorgono in campagna fra Villaga e San Germano dei Berici. ARCHIVIO
Molte delle abitazioni confiscate sorgono in campagna fra Villaga e San Germano dei Berici. ARCHIVIO
Molte delle abitazioni confiscate sorgono in campagna fra Villaga e San Germano dei Berici. ARCHIVIO
Molte delle abitazioni confiscate sorgono in campagna fra Villaga e San Germano dei Berici. ARCHIVIO

VICENZA. Quei 64 immobili diventano dello Stato. La Cassazione ha respinto anche l'ultimo ricorso di Ferruccio Pozza, stabilendo che quelle case comprate con i proventi illeciti dello spaccio di droga non sono più sue. Sono state confiscate, perché acquistate con soldi guadagnati commettendo un reato. E ha di fatto confermato quanto aveva stabilito la Corte d'appello di Venezia. Non c'è spazio per la difesa, che aveva presentato ricorso, nè quella dell'ex proprietario, a cui erano stati sequestrati, nè quella del nuovo titolare, che è ritenuto un prestanome. È la prima volta che in provincia di Vicenza passa un provvedimento analogo per lo spaccio di droga: si tratta di una misura che ha lo scopo di portar via i patrimoni a chi li ha accumulati violando la legge.

 

IL CASO. I giudici supremi hanno seguito la linea tracciata nel gennaio 2016 dal tribunale di Vicenza, che aveva accolto la richiesta del procuratore Antonino Cappelleri: case e capannoni vanno confiscati, perchè sono stati acquistati con i guadagni dello spaccio. E lo spacciatore è Pozza, 58 anni, il "professore" di Villaga, via San Donato, arrestato e condannato più volte anche per traffico internazionale di stupefacenti. Per la difesa del vicentino, assistito dagli avv. Lucio Zarantonello e Leonardo Maran, resta un'ultima spiaggia, quella di un ricorso in Appello fatto dal nuovo intestatario della società immobiliare proprietaria delle case. «Quegli immobili sono stati acquisiti con mutui in banca, le cui rate sono state pagate con soldi leciti. La droga non c'entra», hanno sempre sostenuto i legali.

 

LA SOCIETÀ. L'estate 2015, la polizia aveva sequestrato al catasto, per impedirne la vendita, 64 immobili alla società "Antea srl" di Montecchio Maggiore. L'ipotesi della procura, che aveva coordinato le indagini delle squadre mobili di Venezia e Vicenza, era che terreni e fabbricati fossero stati acquistati nel corso degli anni con i proventi illeciti. Secondo la pubblica accusa, che aveva sequestrato anche una Mercedes e tre conti correnti, negli anni scorsi la "Antea", che era formalmente intestata alla compagna di Pozza, Ivana Franceschini (assistita dall'avv. Elena Peron), aveva acquistato svariati beni in diversi Comuni del Vicentino grazie ai soldi guadagnati da Pozza con lo spaccio sull'asse Spagna-Veneto. Lo testimoniavano le date e le intercettazioni telefoniche, sulla scorta delle quali era scattata la misura di prevenzione patrimoniale. Per la procura (che sosteneva che il vicentino avesse investito nel mattone i frutti di una lunga carriera nel mondo dello spaccio) quegli immobili valgono milioni di euro: fra il 2003 e il 2004 la "Antea" li aveva pagati complessivamente 2,5 milioni. Sorgono nei territori comunali di Sarego, Villaga, Sovizzo, Altavilla, Pojana Maggiore, Montecchio Maggiore, Grancona e Asigliano. La maggior parte alle pendici dei colli Berici, anche in Val Liona, e oggi varrebbero almeno 5 milioni di euro; fra i beni ci sono anche dei terreni. Eppure Pozza negli anni ha presentato dichiarazioni dei redditi molto basse. Per il procuratore Cappelleri la sproporzione fra i redditi leciti e il patrimonio acquisito - uno dei presupposti della misura di prevenzione patrimoniale - era evidente.

 

LA CESSIONE. Negli anni scorsi, mentre era in carcere, Pozza aveva convocato un notaio e ceduto le sue quote di "Antea" a Roberto Ferrante Sinigaglia, al quale formalmente gli immobili sono stati sequestrati. Il nuovo proprietario (difeso dall'avv. Filippo Vicentini) aveva presentato ricorso in Appello, ma anche il suo era stato respinto. Sinigaglia è stato ritenuto un prestanome, mentre la richiesta di Pozza - che ha dimostrato, acquisto per acquisto, l'apposita accensione di mutui in banca - è stata dichiarata inammissibile. Perché? Per la Corte, visto che in primo grado Pozza aveva sostenuto che la cessione a Sinigaglia era legittima, e che il prezzo era di mercato, non aveva alcun titolo di chiedere il dissequestro. «Le case non sono più tue, perché oggi te ne occupi?», è il senso del ragionamento. Sbagliato, per le difese, che hanno dato battaglia: «La Corte non può dire a Sinigaglia che i beni sono di Pozza, e a Pozza che sono di Sinigaglia».

 

LA CASSAZIONE. Per gli ermellini, però - la richiesta è stata respinta dalla sesta sezione penale, presieduta da Giacomo Paoloni -, in questo caso l'unico «legittimato al ricorso è l'apparente intestatario, l'unico che ha diritto all'eventuale restituzione del bene». Non Pozza, quindi, ma Sinigaglia. Pozza non può infatti mettere naso su ciò che dice non essere più suo. Ragion per cui di certo c'è che quei 64 immobili non sono più del "professore", che anzi deve pagare 1.500 euro di spese legali, ma dello Stato.

Diego Neri

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