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Vicenza

Cicero: «Cacciati
dalla Libia nel ’70
Italiani di serie B»

Marino Smiderle «Papà, sono a casa. Non è cambiato niente, è rimasta anche la corda con cui aprivano la porta d’ingresso dall’ultimo piano». Era la fine di aprile del 2010 e Claudio Cicero, con le...
Claudio Cicero mostra una parte della cassa di autoricambi usata dal padre per riempirla di quel che restava di una vita in Libia.  COLORFOTO
Claudio Cicero mostra una parte della cassa di autoricambi usata dal padre per riempirla di quel che restava di una vita in Libia. COLORFOTO
Claudio Cicero mostra una parte della cassa di autoricambi usata dal padre per riempirla di quel che restava di una vita in Libia.  COLORFOTO
Claudio Cicero mostra una parte della cassa di autoricambi usata dal padre per riempirla di quel che restava di una vita in Libia. COLORFOTO

Marino Smiderle

«Papà, sono a casa. Non è cambiato niente, è rimasta anche la corda con cui aprivano la porta d’ingresso dall’ultimo piano». Era la fine di aprile del 2010 e Claudio Cicero, con le lacrime agli occhi, stava telefonando al papà Giovanni dall’abitazione di Tripoli da cui tutta la famiglia era stata cacciata quarant’anni prima. In Libia comandava ancora Gheddafi, lo stesso che nel 1970 aveva espulso, dalla sera alla mattina, ventimila italiani ai quali il dittatore aveva appena deciso di aprire di nuovo le porte. L’altro giorno il consigliere comunale vicentino, mentre stava sistemando il garage del padre da poco scomparso, ripensava a quella telefonata e a quell’ultimo contatto con Tripoli e la Libia. Poi, da dietro un armadio, è spuntata la vecchia cassa di legno utilizzata il 22 agosto del 1970 per mettere dentro quel po’ di vita che era possibile impacchettare e spedire a un indirizzo nuovo, per dirla alla De Gregori. «Ho rivissuto in un lampo quei giorni tremendi - ricorda Cicero - e quel viaggio via mare seguito dall’arrivo al campo profughi. Sì, nel 1970 i profughi eravamo noi». (...)

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