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Vicenza

Case vuote
Oltre ottomila
contatori sigillati

Sono 6 mila le utenze  da 3 kilowatt che risultano disattive. COLORFOTO
Sono 6 mila le utenze da 3 kilowatt che risultano disattive. COLORFOTO
Sono 6 mila le utenze  da 3 kilowatt che risultano disattive. COLORFOTO
Sono 6 mila le utenze da 3 kilowatt che risultano disattive. COLORFOTO

Laura Pilastro

Non ci sono soltanto le grandi carcasse dei più conosciuti ex macello, ex Centrale del latte o ex Sartori Motors, solo per citarne alcuni. Tra i “vuoti a rendere” della città, si contano migliaia di immobili con le serrande abbassate e le imposte sprangate: abitazioni, negozi o fabbriche dismesse, un patrimonio pubblico e privato che subisce l'onda lunga del calo demografico oltre che di un mercato immobiliare che non decolla. Mentre Confcommercio, associazioni ambientaliste e ordini professionali intonano il de profundis della cementificazione e lanciano un appello per un uso intelligente del suolo all’insegna della «rigenerazione urbana», in città sono circa 8.250 i contatori dell'energia elettrica che risultano sigillati, secondo i dati forniti da Aim Servizi a reti. Si tratta di circa sei mila unità abitative con una potenza di circa 3 chilowatt, oltre a negozi o attività industriali cui non viene erogato il servizio elettrico.

Va detto, però, che molteplici possono essere le motivazioni alla base di una richiesta di disattivazione delle utenze. Vi sono casi di abitazioni in fase di compravendita, i cui proprietari chiedono temporaneamente di staccare i contatori ed evitare così di pagare le quote fisse dovute al distributore. Altri casi in cui gli spazi risultano in ristrutturazione, sfitti, oppure sono vuoti perché il proprietario che occupava l’alloggio è deceduto ed è in corso la successione. Sono poi conteggiati gli appartamenti di nuova costruzione tuttora invenduti. Tra le unità non abitate ci sono anche gli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà del Comune gestiti da Amcps e Ater. Del monte complessivo di 2.718 case popolari, 296 (180 di Amcps e 116 di Ater) hanno le tapparelle abbassate.

Degli oltre 8 mila immobili chiusi, inoltre, fanno parte le oltre duemila attività commerciali e industriali. Nel conto finale però vi sono anche le manifestazioni pubbliche i cui organizzatori hanno chiesto la disattivazione dei contatori. Distinguo a parte, si tratta comunque di numeri che fanno riflettere anche alla luce dell’appello lanciato nelle scorse settimane in Ascom. I commercianti, assieme ad ambientalisti e ordini professionali hanno dato l’Sos. Per dire «stop al cemento e al consumo di suolo: il territorio è una risorsa non riproducibile e per salvarlo bisogna cambiare rotta». Motivo dell’allarme, non soltanto il fattore estetico, perché il deperimento di un territorio costa anche sul piano sociale ed economico. Ecco perché l’appello è stato inviato ai sindaci e al governatore del Veneto Zaia, affinché sia uno stimolo «alla lotta al cattivo utilizzo del territorio». L’obiettivo è svegliare la politica, perché «già a partire dalla definizione di norme e regolamenti, non venga vanificato l’obiettivo primario», cioè quello di consumare suolo. A favore invece - e qui sta il nocciolo delle richieste - di un’operazione che riqualifichi e valorizzi l’esistente».

E vanno in questa direzione anche le recenti affermazioni dell’assessore alla progettazione e sostenibilità urbana Antonio Dalla Pozza: «La pianificazione non sarà espansiva, ma regressiva. Saranno cancellate alcune previsioni perché a questo punto è necessario puntare sulla riqualificazione e sostenibilità degli interventi». Sul piatto c’è il Pat e la sua «manutenzione». Perché? Sono 300 mila i metri quadrati di superficie agricola edificabili in base al Piano di assetto del territorio (ridotti a 130 mila nel Piano interventi). Ma dei 14 accordi pubblico-privato approvati 4 anni fa dal Consiglio comunale, nessuno è decollato.

Laura Pilastro

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