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Vicenza

Caritas a famiglie:
«Adottate
un profugo»

Profughi in un'immagine d'archivio
Profughi in un'immagine d'archivio
Profughi in un'immagine d'archivio
Profughi in un'immagine d'archivio

«Adottate un profugo prima che lo recluti la malavita». È l’appello che il direttore della Caritas diocesana don Giovanni Sandonà lancia alle famiglie vicentine adesso che, con l’arrivo dei permessi di soggiorno, finiscono anche i programmi di protezione. «Paradossalmente - spiega il sacerdote - l’ottenimento della “carta” chiude una trafila di questioni, ma non è un punto di arrivo. Tutt’altro». Lo testimoniano le decine di migranti che da novembre hanno bussato alla porta del dormitorio della Caritas: metà di loro aveva ottenuto il permesso ma non avendo un lavoro o una casa, vagava in cerca di un tetto. Così l’ente religioso ha lanciato due progetti: “Rifugiato in famiglia” e “Adozioni di vicinanza”, pensati per accompagnare verso l’autonomia i profughi che hanno ottenuto i documenti necessari a restare in Italia. «L’iniziativa nasce dalla constatazione - spiega don Sandonà - che da alcuni mesi registriamo richieste di accoglienza a casa San Martino, il nostro ricovero per i senza fissa dimora, da parte di profughi. Negli ultimi sei mesi hanno bussato in quaranta. In diciannove avevano già ottenuto il permesso. Gli altri arrivavano da strutture diverse dalle nostre». Da qui la decisione di intervenire facendo leva sul volontariato. In cambio dell’aiuto gratuito la Caritas offre supporto e formazione. Il progetto “Rifugiato in famiglia” prevede che il nucleo familiare che si fa carico del migrante sostenga i costi di vitto e alloggio, mentre per lo studio, la formazione e le spese straordinarie l’ente ospitante pescherà dalle risorse accantonate nella fase pre-permesso. “Adozione di vicinanza”, invece, si rivolge alle famiglie che non si sentono in grado di ospitare un profugo tra le mura domestiche e prevede la costruzione di una rete di vicinato simil-familiare in modo che il nucleo “adottivo” diventi per il migrante un punto di riferimento stabile.

«Tutto questo - spiega il direttore della Caritas -, innanzitutto per accompagnare la fase successiva al permesso, impedendo che persone spesso sole e senza agganci nel territorio finiscano preda della criminalità. Dal lato delle famiglie italiane, puntiamo a combattere pregiudizi e timori attraverso l’unica medicina possibile: la relazione. Siamo di fronte a fenomeni epocali, la cui durata, oggi, non è prevedibile. Possiamo solo attrezzarci contrastando le paure che in questo momento attraversano l’immaginario con dei gesti concreti».

All’appello della Caritas, per ora, hanno aderito il centro Astalli, le suore Orsoline, alcune cooperative del consorzio “Prisma” e associazioni che operano nella solidarietà Quanto alle famiglie, per ora in tutta la diocesi sono solo quattro, ma alla Caritas non sono troppo preoccupati. «Non è una questione di cifre - precisa don Sandonà - ma di modelli di comportamento. Non ci poniamo obiettivi numerici perché in questa fase è importante seminare. Chi aderisce ora, saprà fare da lievito».

Lorenzo Parolin

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