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Vicenza

Calo medici di base
400 addii in 10 anni
«Non c'è ricambio»

La crisi delle vocazioni nel Vicentino
La crisi delle vocazioni nel Vicentino
La crisi delle vocazioni nel Vicentino
La crisi delle vocazioni nel Vicentino

VICENZA. Medici di famiglia in estinzione. Nel 2016 nel Vicentino ne sono andati in pensione 15. Più 6 pediatri di libera scelta. Quest’anno, in città e in provincia, ad appendere al chiodo il camice bianco saranno in 29. Nel giro di 10 anni i medici di famiglia che lasceranno il lavoro per raggiunti limiti di età saranno 397, 295 uomini e 102 donne, quasi 2 su 3. In passato un medico andava in pensione a 70 anni, ma ora, specie se è donna, preferisce farlo intorno ai 67. Il fenomeno è già in atto ma esploderà dal 2020, con la grande massa dei medici entrati in servizio alla fine degli anni Settanta, che ora, in base ai contributi versati, si avvicinano al tetto massimo dell’età pensionabile e possono andare in quiescenza. La burocrazia li invoglia a chiudere prima la loro carriera.

IL TREND. Oggi, nel Vicentino, i medici di famiglia sono 630. Nel 2027 potrebbero essere meno della metà. Con il sistema in vigore si farà molta fatica a sostituirli. Per ogni tre che vanno in pensione solo un giovane accede alla professione, e il numero continua a calare perché sono sempre meno i neolaureati che scelgono la medicina generale e optano per la specialistica. La prima ragione è che sono troppo pochi i posti per la formazione. Insomma, visto che i 397 medici convenzionati oggi hanno in media 1.500 pazienti a testa, 200 in più della media nazionale, fra qualche anno quasi 600 mila vicentini rischiano di trovarsi senza medico di base e di trovare appeso sulla porta dell’ambulatorio il cartello “chiuso per mancanza di medici”. La previsione si basa sulle attuali modalità di selezione dei nuovi medici di base. In Italia ci sono quasi 90 medici di famiglia ogni 100 mila abitanti, meno dell’Irlanda, della Germania, della Francia, e c’è il più alto numero di camici bianchi con più di 50 anni.

LE CAUSE. Occorrerebbe un turnover rapido. Invece, l’asticella si alza sempre di più. Una volta superato l’esame di Stato dopo la laurea, un medico può lavorare come precario sostituendo medici di base, nei laboratori o nella guardia medica, ma per trovare un posto stabile deve specializzarsi all’università o conseguire il diploma di formazione in medicina generale accedendo a un corso triennale a numero chiuso organizzato dalle Regioni e dalle province autonome. Per frequentarlo si riceve una borsa di studio di 800 euro al mese e occorre superare un esame che si tiene una volta all’anno. A disincentivare, oltre alla paga mensile troppo bassa, è proprio il test.

LA GRADUATORIA. Il numero di posti disponibili nei corsi di formazione varia da regione a regione. Nel Veneto sono 50. Oggi i medici di famiglia in Veneto sono 3.500. Nel giro di 7 anni si calcola che ne occorreranno almeno 1.600. È evidente come non sia possibile tenere il passo per rimpiazzare chi se ne va in pensione, anche se a Venezia minimizzano: «Dicono – spiega il presidente dell’ordine dei medici Michele Valente – che secondo i loro calcoli ci bastano, che esiste una graduatoria molto lunga. Ma, alla fine, siccome passa molto tempo fino prima che si possa essere pescati, solo una quota minima, forse solo un 30 per cento, sarà davvero disponibile. Per trovarne uno bisogna scalare ogni volta di una ventina di posti e i tempi si allungano. Gli altri trovano un altro lavoro prima o se ne vanno all’estero. È quindi una graduatoria farlocca. Né si può pensare che arrivino rinforzi da altre regioni perché il problema è nazionale. Le borse di studio le assegna l’assessorato alla sanità della Regione su finanziamento ministeriale. A Bergamo la quota annua è di 90, eppure si lamentano. Da noi ci sono 40 posti in meno. E ci dicono che va tutto bene. Le nuove leve non saranno mai in grado di rimpiazzare chi se ne va». Ma perché non aumentare le borse di studio? «I soldi, ripeto, li tira fuori Roma non Venezia. E allora?».

Franco Pepe

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