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Il primo maggio

Caccia al lavoro
50mila vicentini
sono disoccupati

Una manifestazione sindacale in città dei lavoratori del settore metalmeccanico. ARCHIVIO
Una manifestazione sindacale in città dei lavoratori del settore metalmeccanico. ARCHIVIO
Una manifestazione sindacale in città dei lavoratori del settore metalmeccanico. ARCHIVIO
Una manifestazione sindacale in città dei lavoratori del settore metalmeccanico. ARCHIVIO

VICENZA. Il primo maggio è la festa dei lavoratori, che i sindacati oggi celebrano con una manifestazione all'Oasi Rossi di Santorso. Sono però ancora più di 50 mila i vicentini che un lavoro non ce l'hanno. E di questi, 18 mila sono under 35.

I dati Istat fotografano una realtà leggermente migliorata rispetto allo scorso anno, ma ancora lontana dalla quasi piena occupazione di una decina d'anni fa.  Il fenomeno, tradotto in altri termini e indicatori, dice la Uil vicentina, corrisponde a circa il 14 per cento di disoccupazione giovanile, in un’età compresa tra i 15 e i 35 anni. Secondo i dati 2016 dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, che invece prendono in considerazione la fascia dai 15 ai 24 anni, con il 17,7 per cento di disoccupazione, la provincia si colloca all’ottavo posto nazionale nella classifica che parte dai numeri più bassi per arrivare a quelli più preoccupanti. Ma dietro ai dati ci sono i volti e le storie che spesso pagano il prezzo degli anni più bui della crisi: la sfiducia, una bestia nera che secondo gli esperti si riflette nell’approccio al mercato del lavoro. 

 

IL SONDAGGIO DEL GDV

 

«Gli anni che ci stiamo lasciando alle spalle hanno lasciato un’eredità in termini di sfiducia nella possibilità di trovare un buon lavoro, un’aspettativa normale fino a 10-15 anni fa», spiega Andrea Pozzan, esperto di selezione del personale e amministratore di Competenze in Rete, società di Dueville che opera nel campo delle risorse umane. Conseguenza diretta di questo sentimento è «la scarsa propensione a investire su se stessi in ambito lavorativo». In altre parole, «spesso tra la prospettiva di un lavoro poco qualificante ma a tempo indeterminato e quella di un impiego più stimolante anche se non ancora stabilizzato, i ragazzi scelgono la prima e questo a mio giudizio è sbagliato». Per Pozzan «non è arroganza, ma il prezzo, in termini culturali, che paghiamo per gli anni di crisi».
 

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