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Vicenza

«Azionisti
per 10 milioni
a nostra insaputa»

L’ingresso della sede principale della Banca popolare di Vicenza
L’ingresso della sede principale della Banca popolare di Vicenza
L’ingresso della sede principale della Banca popolare di Vicenza
L’ingresso della sede principale della Banca popolare di Vicenza

Azionisti a loro insaputa. E non per quattro schei, ma per quasi 10 milioni di euro. È quanto sostiene una coppia di vicentini, storici clienti della Popolare, che hanno avviato un’articolata azione civile contro gli ex vertici di via Battaglione Framarin. Come altri, lo hanno fatto personalmente, chiedendo ai giudici che dichiarino la responsabilità dell’ex presidente Gianni Zonin e dell’ex direttore generale Samuele Sorato. Zonin ha già chiamato in causa le assicurazioni della Banca, affinchè - in caso di condanna - siano loro a versare il dovuto alle vittime.

IL DEBITO. Fra le tante cause intentate in questi mesi, quella promossa dai coniugi Motta presenta una serie di profili quanto mai singolari. In base a quanto ricostruito, la famiglia vicentina, storica cliente della BpVi, con rapporti importanti con l’istituto di credito, scoprì una serie di operazioni. Era il novembre 2015, qualche mese dopo l’avvio dell’indagine della procura, poco prima che Zonin si dimettesse. I vicentini si sarebbero accorti, dopo un controllo, acquisti di azioni e di strumenti finanziari della BpVi, di cui non erano a conoscenza. Le operazioni sarebbero state compiute da due funzionari, Giacon e Rizzi (che oggi non operano più per BpVi), in cui i Motta riponevano grande fiducia, i quali avrebbero addebitato gli acquisti su quattro conti correnti a loro intestati. «In questa maniera, siamo diventati senza saperlo possessori di azioni e strumenti finanziari per 9 milioni e 250 mila euro», precisano, con un’esposizione debitoria nei confronti della banca pari a quasi 9 milioni e mezzo. Si trattava di operazioni “baciate”: acquisti e obbligazioni sarebbero stati anomali, perché resi possibili da affidamenti bancari, non accompagnati da una richiesta di rientro, ma da un innalzamento dell’importo affidato.

L’ORDINANZA. Una volta accertato cos’era successo, i Motta si sono rivolti al tribunale delle imprese di Venezia, che aveva disposto - con un’ordinanza che aveva fatto discutere - che la Popolare di Vicenza bloccasse il pagamento dei saldi passivi dei conti correnti. Il tribunale aveva ordinato di congelare il rimborso delle rate del prestito da quasi 10 milioni di euro a fronte dell’acquisto di azioni il cui valore è stato praticamente azzerato essendo crollato da 62,5 euro a 0,1. E di conseguenza è venuta meno la garanzia dei titoli. L’ordinanza, in estensione, riguardava coloro che avevano acquistato azioni in virtù di “finanziamenti baciati puri”, cioè quanti si erano sentiti rivolgere dalla banca l’offerta di partecipare all’aumento di capitale nel biennio 2013-14, con presidente Zonin e direttore generale Sorato, in apparenza blindato dal fido messo a disposizione dallo stesso istituto; ma potrebbe avere ricadute per quanti hanno avuto “finanziamenti baciati parziali”, vale a dire privati e ditte che a fronte di prestiti hanno acquistato azioni per importi residuali, perché altrimenti la banca non avrebbe finanziato il mutuo. Il giudice aveva accolto il ricorso d’urgenza; la causa procede.

LA CAUSA. Dopo l’ordinanza, la famiglia Motta aveva intentato una causa di merito, allo scopo di veder dichiarata la nullità dell’acquisto delle azioni, o l’inefficacia degli addebiti sui conti correnti. In via subordinata, i vicentini hanno chiesto ai giudici civili di dichiarare la responsabilità di Zonin, Sorato e BpVi, in solido fra loro, per aver violato il codice. E anche avevano sollecitato il risarcimento del danno. Zonin ha replicato, dopo essersi costituito, sollecitando e ottenendo la chiamata in causa delle assicurazioni della banca.

ALTRE AZIONI. Un’altra causa significativa è quella intentata dalla famiglia Ruggeri, che ha citato Zonin e Emanuele Giustini, ex vicedirettore generale. Chiede, a fronte dell’acquisto di azioni, di vedersi rimborsare come danno la differenza fra l’importo versato (1,5 milioni) e quello «che si ricaverebbe calcolando il valore di mercato assunto dalle azioni in conseguenza del disvelamento della reale situazione della Banca», cioè 0,1 euro ad azione.

Diego Neri

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