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Altopiano, 9 anni dopo secessione congelata

Uno dei manifesti con la scritta “Trentino Alto-Adige” incollati sui cartelli stradali di Asiago nei giorni del referendum del 2008. ARCHIVIO
Uno dei manifesti con la scritta “Trentino Alto-Adige” incollati sui cartelli stradali di Asiago nei giorni del referendum del 2008. ARCHIVIO
Uno dei manifesti con la scritta “Trentino Alto-Adige” incollati sui cartelli stradali di Asiago nei giorni del referendum del 2008. ARCHIVIO
Uno dei manifesti con la scritta “Trentino Alto-Adige” incollati sui cartelli stradali di Asiago nei giorni del referendum del 2008. ARCHIVIO

«E adesso, dopo Sappada, siamo pronti a tornare alla carica». Francesco Rodeghiero non ha mai sotterrato l’ascia di “guerra”: l’aveva solo nascosta. Passano gli anni, non la voglia di battagliare per il portabandiera del comitato del referendum per il passaggio dell’Altopiano di Asiago al Trentino: nel 2008, il 7 maggio, portò alle urne 13 mila persone, il 63 per cento degli aventi diritto, che quasi all’unanimità chiesero di staccarsi dal Veneto e di abbracciare la Provincia autonoma. In queste ore molti lo cercano: è l’effetto-Sappada. Perché se il piccolo Comune bellunese ottiene il sì parlamentare all’annessione al Friuli Venezia Giulia, e se tutto è scaturito da un referendum del 2008, «allora anche Asiago e i Sette Comuni possono farcela, uno alla volta». Solo che da allora sono passati 9 anni e l’Altopiano non si è mosso dal Veneto.

IL REFERENDUM. Questa è una storia che parte da lontano. Storia di corna, e di ricuciture. Di un tradimento, mai consumato ma proclamato sì. Quel 7 maggio 2008 era un giorno di sole sull’Altopiano. Nel municipio di Asiago, alle 17.35, il comitato referendario pronunciava con tono solenne, lo spumante già pronto, il risultato della consultazione: un plebiscito con il 95 per cento di Sì. Era la fine di un connubio durato sei secoli: l’Altopiano e Venezia si dicevano addio. Singolare che il tutto avvenisse nella Sala dei quadri, che ospita l’opera del Pomi che immortala l’“atto di dedizione” alla Repubblica di Venezia del 1405. Ma il primo a tradire - dicevano ad Asiago in quei giorni - era un sistema che aveva creato cittadini di serie A, nella ricca Trento, e di serie B, di qua dal confine. C’erano i soldi, anche i soldi per strade e assistenza sociale, all’origine dello strappo. E poi? Poi iniziava un’altra storia: quella della ricucitura.

LA LEGGE CHE NON C’È. L’iter costituzionale per i cambi di Regione prevede la formulazione di un disegno di legge e il voto parlamentare, previo parere consultivo delle Regioni di partenza e di approdo. Sembra semplice, ma è come scalare una montagna. E anche se da queste parti se ne intendono, la vetta non è mai stata raggiunta. «Il disegno di legge giace in commissione parlamentare», sospira Rodeghiero. «Ma il popolo si è espresso: ora tocca alle istituzioni». E promette: «Andremo a Sappada a festeggiare: volutamente, finché procedeva l’iter della loro legge, siamo stati tranquilli per non bruciare quel percorso, ma ora ripartiamo a pressare».

ARIA, E FONDI, NUOVI. Il punto è che nove anni hanno lasciato il segno. Ad Asiago, al bar o in famiglia, di Trento non si parla più. Il fuoco di allora si è spento, non tanto per rassegnazione, quanto perché, nel frattempo, qualcosa è cambiato. Da Roma, ad esempio, sono arrivati parecchi soldi. Roberto Rigoni Stern, sindaco di Asiago, lo dice chiaro e tondo: «La percezione è che quel senso di abbandono oggi sia superato. Il referendum ebbe il merito di portare nell’agenda del governo la questione dei Comuni di confine». Come? Con l’istituzione di un fondo ad hoc alquanto capiente. «Ad Asiago negli ultimi anni - spiega Rigoni Stern - abbiamo ottenuto una quarantina di milioni di euro. Con l’ultima tranche rinnoviamo gli impianti da sci e realizzeremo parcheggi, ciclabili e lavori al campo da golf». E aggiunge: «Quello del 2008 non era un voto d’identità, perché qui nessuno si sente trentino, ma contro le disparità. Ora il fondo per i Comuni di confine ci fa dialogare con Trento: spero che continui così, che le velleità del 2008 siano superate».

FRONTI OPPOSTI. Il sindaco di Asiago considera chiusa una stagione, quella del grido di dolore. «Certo, è impossibile paragonarsi a chi ottiene contributi per i gerani da mettere sui balconi; ma oggi ci sono attenzione e risorse per i Comuni di confine che fino al 2008 non c’erano». Non la pensa così Rodeghiero, che intende andare fino in fondo, cioè arrivare a Trento. «Hanno provato in tutti i modi a fermarci - dice -, prima dicendoci che serviva una legge costituzionale, però la Consulta ha chiarito che ne basta una ordinaria; poi arenando la proposta di legge in commissione. Ma noi non molliamo: in questi anni, la nostra rete di comitati ha speso credo 100 mila euro, tutti raccolti da privati per finanziare una lotta fatta di ricorsi in tutte le sedi, nazionali ed europee. Sappiamo che i sindaci non ci aiuteranno perché si accontentano del lecca lecca dei fondi di confine; ma di quegli investimenti le famiglie hanno un beneficio relativo».

Da qualunque lato la si prenda, questa storia porta a un punto: i quattrini. E allora torna in mente il sussurro di Mario Porto, nel 2008, a spoglio referendario ultimato: ai cronisti che gli chiedevano il perché di quello strappo Altopiano-Venezia, di quell’“amore tradito”, l’ex sindaco di Roana rispose: ma quale amore, questo semmai è un matrimonio d’interesse.

(Ha collaborato Gerardo Rigoni).

Marco Scorzato

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