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La bottiglia dell’amicizia ha 60 anni

Mirco Scala, Mario Centomo e Bruno Gemo con la bottiglia nascosta per anni sulla cima. FOTO CRISTINALa cima Lovaraste dove è stata posata una croce. FOTO CRISTINA
Mirco Scala, Mario Centomo e Bruno Gemo con la bottiglia nascosta per anni sulla cima. FOTO CRISTINALa cima Lovaraste dove è stata posata una croce. FOTO CRISTINA
Mirco Scala, Mario Centomo e Bruno Gemo con la bottiglia nascosta per anni sulla cima. FOTO CRISTINALa cima Lovaraste dove è stata posata una croce. FOTO CRISTINA
Mirco Scala, Mario Centomo e Bruno Gemo con la bottiglia nascosta per anni sulla cima. FOTO CRISTINALa cima Lovaraste dove è stata posata una croce. FOTO CRISTINA

Una bottiglia di montagna abituata alle vette delle Piccole Dolomiti che da 60 anni guarda tutti dall'alto, dalla cima del Lovaraste. Per celebrare l'anniversario di quella giornata avventurosa i ragazzi di un tempo sono di recente tornati dove tutto ebbe inizio. Mirco Scala, Mario Centomo e Bruno Gemo, tre “giovani” rispettivamente di 80, 78 e 77 anni, si sono ritrovati con parenti e amici per festeggiare l'evento. C'era anche un quarto componente in quella spedizione che però è venuto a mancare, Rio Bicego. Riavvolgendo il nastro dei ricordi nelle parole di Scala c'è un racconto originale.

«Nell’estate del 1956 una mattina ci siamo ritrovati i soliti quattro grandi amici, tutti valdagnesi e precisamente dei Ruari di Novale. Eravamo figli di famiglie semplici e con pochissimi soldi in tasca. Si decise di fare una gita in quota ma allora non era mica come adesso dove con la macchina si arriva quasi ovunque. Prendemmo il treno che portava a Recoaro e da lì gambe in spalla si decise di affrontare l'ascesa del Lovaraste». La montagna era già nel cuore di Mirco che era un frequentatore delle Piccole Dolomiti tanto che dal 1961 al 1987 è stato volontario del soccorso alpino.

DISLIVELLO. «Assieme - prosegue Scala- si decise di salire sul Lovaraste. Da Recoaro centro si doveva camminare facendo circa mille metri di dislivello prima di poter cominciare quello che facciamo normalmente ora vale a dire raggiungere la base dei monti. La montagna era poco frequentata e selvaggia, l'ascesa era un traguardo impegnativo visti anche i mezzi a disposizione». I quattro potevano infatti contare su una corda dei panni presa da Scala alla mamma da usare per assicurarsi nei punti difficili: “Sbagliammo anche sentiero dovendo allungare la salita con ulteriori rischi per i più inesperti e tanta fatica”. La protagonista di tutta l'avventura è lei, quella bottiglia di vino presa di nascosto da stappare per festeggiare il raggiungimento della vetta.

LA FESTA. «La portai io di nascosto per festeggiare quando avremmo raggiunto la vetta -ricorda Scala. Da quella che inizialmente era soltanto una piccola trasgressione ci venne in mente di creare un qualcosa da lasciare ai posteri. Visto che avevamo con noi un foglio di carta ed una penna, scrivemmo la data, i nostri nomi e il percorso. Poi infilammo la carta nella bottiglia e la nascondemmo sotto la croce».

Da allora la bottiglia non è mai scesa dalla vetta e ad ogni successiva risalita i protagonisti lasciavano una firma, con amici e parenti. In tanti negli anni hanno firmato e scritto pensieri. Mirco Scala portò di lì a poco sulla cima anche cinque suoi allievi di falegnameria, del Cfp di Maglio di Sopra. «La voce si era sparsa -ricorda Scala- e gli appassionati sapevano dell'esistenza della bottiglia. Ad ogni salita era diventato un rito firmare sul foglio indicando il tragitto effettuato. La regola per i primi anni era però rigorosa: non si poteva firmare senza uno dei quattro senatori della prima salita». In quei fogli rimangono impresse 60 anni di amicizie, di giornate di festa dove spesso si lasciava anche una bottiglia piena di vino accanto a quella vuota per “dissetare” chi sarebbe salito in seguito.

Luigi Cristina

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