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Valdagnese lui, veronese lei

Due medici (con i figli)
al lavoro per un anno
in un ospedale etiope

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I due medici saranno per un anno in Etiopia, a Wolisso
I due medici saranno per un anno in Etiopia, a Wolisso
I due medici saranno per un anno in Etiopia, a Wolisso
I due medici saranno per un anno in Etiopia, a Wolisso

Dieci anni fa Marianna Rossi (veronese) e Marco Soprana (originario di Valdagno), due giovani medici appena laureati, partono per un piccolo progetto dell’università di Verona in Burundi. Rimangono lì sei mesi. Sei mesi che non dimenticano. «Dopo dieci anni, due specialità e due figli, ci troviamo daccapo a guardarci negli occhi, e il nostro sogno è sempre li, anzi semmai rinforzato». 

E così da qualche giorno Marianna e Marco sono a Wolisso, in Etiopia, a tre ore di jeep da Addis Abeba. Fanno parte del gruppo di medici e cooperanti di Medici con l’Africa-Cuamm: questa volta però con loro ci sono Emilio e Franco, rispettivamente cinque e due anni, i loro due bambini. Resteranno lì tutti e quattro per un anno.

Marco era partito già a marzo: è il responsabile del reparto di Medicina Interna del St.Luke Hospital e si occupa della supervisione degli ambulatori dei pazienti esterni, del pronto soccorso e dell’ambulatorio di ecografia, a fianco a fianco con i medici locali. A Wolisso il Cuamm lavora dal 2001 e dal 2017 ha avviato il progetto «Mille di questi giorni», che punta a garantire l’assistenza medica a mamma e bambino nei primi due anni di vita. 

Marianna è arrivata a inizio giugno con i bimbi e nelle prossime settimane comincerà a mettere a disposizione la propria esperienza di anestesista. Nel frattempo lei, Emilio e Franco, si stanno abituando alla nuova vita, catapultati dalla loro casa di San Zeno ai duemila metri della regione dell’Oromia, terra di pastori e agricoltori. «Emilio e Franco per ora sono entusiasti», raccontano mamma e papà, che dopo tre mesi non vedeva l’ora di riabbracciare i suoi bambini.

A settembre Emilio comincerà le elementari nella scuola locale, dove imparerà a parlare in amarico, come lui stesso prima della partenza spiegava con puntualità a parenti e amici.  «Un po’ di timore di destabilizzarli c’era», racconta Marianna, «ma è stata maggiore la voglia di metterci alla prova come famiglia e dare ai nostri figli una visione diversa del mondo». 

 

Per i due medici questo resta «un sogno che avevamo da tanti anni. Cioè quello di partire, raggiungere chi non può muoversi e non ha niente, essere là dove si può fare la differenza». «Farò il medico in Africa», diceva perentoria a tutti Marianna già da ragazzina. Poi, con il passare degli anni, racconta, ha «capito ancor di più l’importanza della gratitudine e insieme il rischio di scivolare in una routine privilegiata, dimenticando chi è meno fortunato».
Le differenze che stanno incontrando con la realtà italiana, spiegano, sono enormi. Sia in termini di organizzazione della sanità che di differenze culturali, che rendono l’attività di reparto sempre una sfida lavorativa e umana. «Ma questo posto», concludono, «ti sa regalare soddisfazioni inaspettate». 

Riccardo Verzè

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