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«La mia vita da onorevole reduce dal lager»

Lino Fornale è alla soglia dei 99 anni
e apre la sua memoria con l’amico
di tante battaglie Dc Antonio Novello
Da sinistra Antonio Novello e l’onorevole Lino Fornale, che il prossimo 15 ottobre compie 99 anni
Da sinistra Antonio Novello e l’onorevole Lino Fornale, che il prossimo 15 ottobre compie 99 anni
Da sinistra Antonio Novello e l’onorevole Lino Fornale, che il prossimo 15 ottobre compie 99 anni
Da sinistra Antonio Novello e l’onorevole Lino Fornale, che il prossimo 15 ottobre compie 99 anni

Dennis Dellai

In posa, sorriso e click. La foto è impressa nella tecnologica quanto asettica memoria dello smartphone. Questione di megabyte. Nulla a che vedere con la memoria che l’immagine trasuda. Questione di emozioni, ricordi, storie, umanità varia.

LA STORIA. Antonio Novello e Lino Fornale fanno 185 anni in due. Da solo l’onorevole Fornale ne ha 99, che compirà il 15 di ottobre. Tre legislature ai tempi di Rumor, dei padri costituenti, delle campagne elettorali fatte ancora di comizi nelle piazze popolate di Topolino e Cinquecento, e di genziane al bar. Uomo di punta delle commissioni difesa e agricoltura della Camera.

Novello è stato segretario di Rumor e con il parlamentare di Tonezza ha gettato le basi dell’autostrada Valdastico. «La chiamano Pi-Ru-Bi - dice sempre - ma Piccoli, quello della Pi, non la voleva tanto. Del resto era trentino»

Fornale, prossimo a entrare nell’anno dei cento, ha problemi a reggersi in piedi, ma la mente c’è. Le lacrime che gli rigano il viso nel ricordare pagine della sua vita ne sono la testimonianza. E anche la sua ironia. «Toni, gheto savudo del rabalton che go fato nelle scale?», chiede all’amico di tante battaglie politiche citando un recente ruzzolone che poteva anche costargli caro.

Ha un patrimonio di cose da raccontare, l’onorevole, che potrebbe far gola a più di qualche sceneggiatore. A partire dalla sua prigionia durante la guerra, dopo lo sciagurato pasticcio dell’otto settembre del ’43, quando il regio esercito, o quello che ne rimaneva, venne abbandonato a se stesso. Fornale era tenente nella piazza di Atene e venne fatto prigioniero assieme ai suoi granatieri. Andò peggio ai commilitoni della divisione Acqui a Cefalonia, ma il periodo trascorso nei campi di internamento nazisti fu comunque drammatico.

L’INTERNAMENTO. Non posso dimenticare la fame - dice ancora con voce lucida - era la fame a distruggerci. Mangiavamo circa un terzo delle calorie necessarie per sostenere un normale fisico umano. Quanta fame abbiamo patito dopo quel viaggio che ci portò dalla Grecia al nord della Germania, su carri bestiame stipati in gruppi di 45 per carro. E poi, al ritorno, alla fine della guerra, l’altra tragica notizia. Seppi che i partigiani avevano ucciso mio fratello, al Pian di Cansiglio. Non ci restituirono nemmeno le ossa del povero Manlio». Dopo la guerra arrivò la politica. Fornale è stato un democristiano fiero della sua appartenenza allo scudo crociato. «Erano altri tempi, c’erano più risorse ma anche più correttezza e onestà».

Da politico è stato anche presidente dell’ospedale Boldrini. «Allora non c’erano le Ulss - precisa Novello - era tutto diverso. Sa come abbiamo trovato il cuoco della cucina dell’ospedale?». Vien da dire «attraverso un concorso», come è logico aspettarsi. Ma la risposta di Novello ti spiazza: «Prendemmo la macchina io e l’onorevole, vero Lino? Ricordi che andammo a Montecchio Maggiore». E Fornale sorride sornione, annuisce. «Certo che lo ricordo, andammo dal cuoco di Thiene».

IL CUOCO. I due andarono al ristorante del castello di Giulietta e Romeo e praticamente prelevarono a forza lo chef. «Era uno di Thiene, bravo, e ci sarebbe stato utile per l’ospedale -dice Novello - quando gli chiedemmo se era disponibile a lavorare al Boldrini accettò subito e lo assumemmo».

Funzionava così. Erano i tempi in cui i politici avevano una sorta di onnipotenza e per questo venivano riveriti. Erano anche gli anni dei dispetti elettorali, più o meno velati, più o meno collegati alle divergenze fra correnti, all’interno della Dc. «Bisaglia era di Rovigo, ma prendeva pochi voti in Polesine e quindi veniva a raccattarli qui e questo ci dava un po’ di fastidio, non lo neghiamo», dice Novello.

«Sì, ma a Thiene non si è mai fatto vedere tanto, sarà venuto un paio di volte, ci pensavano i suoi uomini a portargli consensi», gli risponde Fornale. «Una volta andai in missione per trovare un accordo che non ci procurasse danni elettorali», aggiunge Novello. «Ci trovammo con Bisaglia sul ponte del Po. Il patto di non belligeranza stabiliva che noi avremmo aiutato lui nel raccogliere voti e lui, però, avrebbe dovuto lavorare per sostenere Fornale. Noi lo facemmo, ma Bisaglia mica tanto, forse non per sua volontà ma per il fatto che i suoi uomini a Thiene non rispettarono il patto. Comunque Lino ce la fece lo stesso».

L’AEROPORTO. C’è poi la storia dell’aeroporto civile. Che non esisteva prima dell’avvento di Novello e Fornale. I due figli fedeli della Balena bianca riuscirono a realizzarlo sfiancando gli alti dirigenti di Civilavia. «Andavamo giù a Roma continuamente a rompere le scatole», dice l’ex parlamentare. «Li abbiamo convinti per sfinimento - aggiunge Toni - e abbiamo portato a casa l’aeroporto».

Cose d’altri tempi, certo. Della prima repubblica più nobile, quella nata dalle ceneri della guerra e sopraffatta dalla repubblica delle mazzette.

C’è un attimo in cui la mente di Fornale tradisce un piccolo cedimento: «Chi c’è a capo della Dc ora», chiede. È come se la considerazione di quel partito si fosse fermata ai suoi tempi. Ma va bene così. Quel momentaneo corto circuito permette di non dover dare risposte su altre storie, che di memoria ne meritano meno.

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