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L’intervista

Don Marco Pozza
«Confessioni
troppo morbose»

Don Marco Pozza abbraccia il Papa durante l’incontro in Vaticano
Don Marco Pozza abbraccia il Papa durante l’incontro in Vaticano
Don Marco Pozza abbraccia il Papa durante l’incontro in Vaticano
Don Marco Pozza abbraccia il Papa durante l’incontro in Vaticano

Anche per uno come don Marco Pozza, abituato a chiamare le cose con il loro nome, diventa difficile parlare dello scandalo che sta sconvolgendo la diocesi di Padova. Il prete di Calvene, cappellano del carcere Due Palazzi, a cui papa Francesco ha scritto una lettera pochi giorni fa, lo fa con il nostro Giornale per amore di verità e perché anche molte parrocchie vicentine fanno parte di quella diocesi.

 

Don Marco, le indagini sembrano non lasciare dubbi, cosa prova leggendo le notizie delle orge in canonica?

La parola “orgia” abbinata alla parola “canonica” somiglia ad uno sbagliato abbinamento di colori nel vestirsi. Le indagini in corso, invece, dicono che l’abbinamento sia giusto: orgia e canonica. Il sentimento è disgustoso, acido da digerire. È un terremoto che sta lasciando detriti ovunque. “Testa bassa, preti!” urlano i giornali. Hanno ragione: per uno che sbaglia, c’è un’intera chiesa diocesana coinvolta. Testa bassa, dunque. Nessuno, però, ci impedisce di tenere il cuore alto. Noi siamo consapevoli di due cose: della miseria e della grandezza della nostra chiesa. Tenerle unite, in questi giorni di buio-fitto, ci aiuta a camminare a testa-bassa e a cuore-alto. Tutto il resto è gossip: se è una storia di sofferenza, allora la sofferenza – prodotta e causata - va digerita, compresa e rielaborata.

 

Crede che tutto questo debba insegnare qualcosa?

Che il demonio esiste, bastardo! E si sta anche leccando i baffi in questi giorni. Ma noi non gliela daremo vinta: abbiamo una storia diocesana di martiri che fanno trattative con Dio per noi. C’è una cosa, però, che va detta: un po’ di questo disgusto ce lo meritiamo come chiesa. Per secoli abbiamo ossessionato la gente con il tema del sesso: certi confessionali hanno prodotto trame di film-hard, diventando sale di tortura. Il Signore ci vuol fare tornare uomini-sereni: fino a quando la preoccupazione di una certa chiesa sarà quella di sapere cosa fanno un uomo e una donna sotto le coperte, non torneremo più ad essere significativi per l’umanità. E questo preoccupa assai.

 

Dei preti coinvolti chi conosce? Ha mai avuto dubbi?

Andrea non lo conosco: siamo distanti come età. Con Roberto abbiamo spartito gli anni più belli del seminario. Quando il prete è giovane, affascinante, frequentatore di mondi fuori-di-sacristia, è troppo facile sospettare. È ingiusto farlo. In sacerdozi così, mi ci metto dentro pure io, il livello di rischio è altissimo: fortunato chi trova compagni di viaggio sinceri che, nell’emergenza, sanno consigliare la giusta medicina. Nei giorni scorsi un quotidiano titolava: “Caccia al terzo prete”. Si parla di preti come di animali da cacciare, di informazione come fosse tiro-a-segno. Capisco che la gente vuol leggere questo. Posso capire anche la sofferenza di chi è coinvolto in maniera indiretta. Penso alle famiglie dei due sacerdoti.

 

Il vescovo, appena rientrato da un viaggio all’estero, aveva scritto una lettera. La chiesa non si nasconde, anzi, il vescovo ringrazia chi ha sollevato il problema. Vengono cancellati secoli di oscurantismo?

Lo dichiaro apertamente: sono orgoglioso di avere un vescovo come don Claudio. Lo sottolineo. Un uomo, il nostro capo-famiglia, che non insabbia ma ha il coraggio di dire “Mi vergogno” merita il massimo della stima. Non è da tutti saperlo fare, troppi non l’hanno fatto. Assieme alla vergogna, unisce l’orgoglio di chi sa di appartenere ad una famiglia di sangue-buono: nell’inferno della cronaca, fa leva su ciò che non-è-inferno per tentare di risalire la scarpata. Dalla bufera la mia chiesa uscirà diversa: non chiedetemi se più-bella, o più-brutta. Uscirà diversa: Dio corregge solamente chi ama.

 

Lei si è distinto per la sua capacità di muoversi fuori dagli schemi e arrivare all’anima. Cosa direbbe a don Andrea e don Roberto?

Una cosa che mi rende fiero di essere il parroco-dei-maledetti (i detenuti, ndr). Domenica, a messa, hanno chiesto di pregare per loro tre: don Andrea, don Roberto, don Claudio. Loro sanno cosa vuol dire venire giudicati sui giornali, sanno la differenza tra indagine e sentenza, tra indagato e persona-informata. Siccome lo sanno, sono signori: aspettano a formulare giudizi. Lo spettacolo più bello l’ho gustato nell’ultima settimana: nessun detenuto, in carcere, ha fatto battute sui preti o sul vescovo. Sanno che qui si soffre tutti, sanno che la Diocesi li ama. Quando parlo di luna-di-pomeriggio è di questo che parlo. Roba concreta, il resto è catechismo sbiadito.

 

E alla comunità cristiana?

Di amare i suoi preti per come sono: un misto di grandezza e di fragilità. Aiutateci ad immaginare un modo diverso, più-umano, di vivere in parrocchia. Una canonica-vuota è un potenziale dramma: le sere sono lunghe, i pensieri pesano, le soddisfazioni arrancano. Chiedeteci “Come stai? Cos’è che non va? Ti vedo triste”. Riportateci voi a Dio quando ci perdiamo per strada. Se un prete sbaglia e riparte, innamoratevi di lui: le cicatrici, che sono ferite guarite, rendono più credibile la sua storia di uomo.

Maria Luisa Duso

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