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Case ai migranti
«I veri cattolici
devono fare di più»

Il sindaco di Thiene ha chiesto un maggior impegno dei cattolici nell’accoglienza ai profughi
Il sindaco di Thiene ha chiesto un maggior impegno dei cattolici nell’accoglienza ai profughi
Il sindaco di Thiene ha chiesto un maggior impegno dei cattolici nell’accoglienza ai profughi
Il sindaco di Thiene ha chiesto un maggior impegno dei cattolici nell’accoglienza ai profughi

Prima il Papa, poi il Vescovo e ora il sindaco. L'appello alle comunità parrocchiali di ospitare e sostenere i migranti in arrivo viene rilanciato con forza dal primo cittadino di Thiene, fortemente convinto che solo attraverso un'accoglienza diffusa sia possibile raggiungere una convivenza serena ed evitare situazioni di disagio. Un invito più che mai necessario, considerato che al momento solo due parrocchie cittadine su sette stanno portando avanti questo modello di integrazione auspicato dal Pontefice, in un caso mettendo a disposizione dei richiedenti asilo i propri alloggi, e in entrambi coinvolgendoli nelle attività quotidiane della comunità. «Ammetto che mi sarei aspettato maggior impegno e sensibilità da parte del mondo cattolico e delle tante famiglie che ruotano attorno alle nostre parrocchie - spiega il sindaco Gianni Casarotto - soprattutto dopo gli accorati appelli lanciati da Papa Francesco e dal Vescovo di Padova. I sacerdoti mi hanno riferito che hanno cercato di sensibilizzare i fedeli, ma evidentemente c'è ancora molta diffidenza verso i profughi. Eppure l'accoglienza diffusa è l'unica via da percorrere; in città sta dando buoni risultati e soprattutto non comporta i problemi che si sono verificati invece in altre realtà dove ci sono state alte concentrazioni di richiedenti asilo in una stessa struttura».

In città sono attualmente presenti 39 migranti, di cui cinque minori, e sono sistemati in quattro quartieri. In centro vivono complessivamente 11 migranti: una famiglia di quattro persone alloggiata da diversi anni in un appartamento di proprietà comunale, e altre 7 persone sistemate in case private. A giorni arriveranno nel quartiere altre quattro donne, che saranno sistemate in un appartamento privato. In Ca' Pajella vivono 11 richiedenti asilo di cui sei rientranti nel progetto Sprar e residenti da diversi anni un alloggio privato, e cinque giovani ospitati da febbraio direttamente nei locali della parrocchia di San Sebastiano.

In Conca di profughi ce ne sono attualmente otto: cinque in un alloggio comunale e tre in un appartamento privato. Infine, il quartiere dei Cappuccini ha aperto le porte a cinque rifugiati, tutti sistemanti in una struttura di proprietà del Comune. Nessun migrante è invece ospitato nel quartiere di San Vincenzo e nelle frazioni di Rozzampia, Santo e Lampertico.

La convivenza con i migranti non è certo semplice, ma c'è chi è riuscito meglio degli altri a coinvolgerli nella vita della comunità. È il caso della parrocchia di San Sebastiano, presa ad esempio dal sindaco Casarotto come modello di accoglienza e integrazione, ma anche della parrocchia Santa Maria Annunziata della Conca. «L'altra sera gli otto richiedenti asilo hanno partecipato alla nostra cena comunitaria - spiega don Antonio Guarise - mentre grazie alla comunità di Sant'Egidio diamo loro supporto nelle faccende quotidiano e li aiutiamo con lo studio della lingua italiana. Grazie alla Caritas hanno poi iniziato a prestare servizio di pulizia della città. Purtroppo noi non abbiamo alloggi di proprietà da mettere a disposizione, ma se ci sono residenti che hanno questa disponibilità si facciano avanti».

Nemmeno la parrocchia dei Cappuccini ha locali liberi per accogliere i profughi. «Fino ad ora nessun cittadino si è fatto avanti per mettere a disposizione un alloggio - precisa fra Luca Trivellato - eppure di appartamenti chiusi ne vedo molti. Capisco la paura e la diffidenza della persone, ma ci deve essere più solidarietà verso queste situazioni umane davvero tragiche». Don Livio Destro parla invece di un mancato coinvolgimento della parrocchia nell'arrivo e gestione dei migranti.

«Ci avvisano quando ormai sono già arrivati, per cui non è nemmeno semplice progettare un'accoglienza che faccia sentire queste persone realmente integrate nella nostra vita sociale. Noi, a dir la verità, siamo stati i primi ad invitare i fedeli a mettere a disposizione le loro case, e in alcuni casi qualcuno ha risposto anche se poi gli alloggi non sono andati bene. Spesso purtroppo gli sforzi messi in campo non producono i risultati sperati, ma mi auguro che l'esperienza fatta fino ad ora induca le persone ad essere più disponibili».

Alessandra Dall'Igna

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