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Schio

Un omaggio
a Calendoli
al teatro Civico

SCHIO. Personaggio fondamentale della scena teatrale italiana dell’ultimo secolo, Giovanni Calendoli ha lasciato un segno indelebile nel panorama culturale scledense e per ricordare la sua figura l’associazione artistica “Schio Teatro Ottanta” organizza stasera, venerdì 24 novembre, alle 20.30 nel ridotto del teatro Civico, l'incontro "Giovanni Calendoli, una vita per il teatro. Tutto ciò che si fa per il teatro non può essere scritto sull’acqua". 
L'evento, che si inserisce tra le attività del tema culturale del Comune, “Recupero, Rinnovo, Rinasco”, vedrà come relatori i professori Antonio Cassuti, Giovanni Luigi Fontana e la dottoressa Tiziana Cadaldini alternare il racconto della vita del critico teatrale alle letture dei testi, tratti da “Zona Grigia”, “Quando gli eroi giocano con le fanciulle in fiore” e “Il carro delle maschere”, recitati dagli attori di Schio Teatro Ottanta. «Con la conferenza-spettacolo su Giovanni Calendoli, abbiamo voluto far riemergere, tramite il teatro, un valore fondante della civiltà umana, la dignità della persona. Dove per dignità si intende il valore: è perciò degno ciò che ha valore e quindi merita rispetto, con il duplice significato del rispetto di sé e del rispetto dell’altro- spiegano i membri di Schio Teatro Ottanta- Prima dal greco πρόσωποΝ, prósōpon e poi dal latino, il termine persona deriva da per-sonare (risuonare attraverso): così era chiamata nel teatro antico la maschera indossata dagli attori, che, oltre a funzionare da altoparlante, copriva gli occhi e trasformava il volto proprio della persona in quello contraffatto di un personaggio. La maschera rappresenta quindi il punto di rottura, il nuovo e il disordine generati dal travestimento, il disagio causato da un ostacolo fisico. E' il cambio di passo e di identità che permette di sperimentare, di azzardare, di recuperare verità. E' lo strumento attraverso cui scoprire luoghi remoti di noi che chiedono solo di essere svelati, accarezzati e riconosciuti come propri.  La trasposizione dal piano linguistico al piano reale non è simbolica. Se la maschera è l'individuo rappresentato sulla scena, cioè il personaggio, e il personaggio consente quella autentica libertà espressiva che ci definisce come persone, ecco allora che il gioco si fa serio: si esce dalla scena e si entra nella vita. Come se, volendo indagare sulla persona e sulla nostra dignità di esseri umani, il passaggio obbligato fosse quello del teatro, a significare il dono immenso che la persona si porta dietro uscendo da teatro, grazie a quest'arte, per quanto riguarda la ri-scoperta e la conoscenza del vero se stesso».  

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