<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Sigilli al maglificio dormitorio cinese

Una visione d’insieme del laboratorio in via Porto 35 a MaloAicha Dong, 46 anni, con i finanzieri di Schio nel laboratorio di Malo
Una visione d’insieme del laboratorio in via Porto 35 a MaloAicha Dong, 46 anni, con i finanzieri di Schio nel laboratorio di Malo
Una visione d’insieme del laboratorio in via Porto 35 a MaloAicha Dong, 46 anni, con i finanzieri di Schio nel laboratorio di Malo
Una visione d’insieme del laboratorio in via Porto 35 a MaloAicha Dong, 46 anni, con i finanzieri di Schio nel laboratorio di Malo

Casa e bottega, all’insegna del motto che un tempo, agli albori del boom economico, era caro ai veneti. Otto cinesi, tra cui la titolare Aicha Dong, vivevano in condizioni ritenute insopportabili, in un contesto di promiscuità e, secondo la magistratura, in palese violazione delle norme sui requisiti minimi di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. I finanzieri della tenenza di Schio dopo essersi consultati con il sostituto procuratore Alessia La Placa, che coordina l’inchiesta che potrebbe avere ulteriori interessanti sviluppi, hanno provveduto a sequestrare il laboratorio situato in un appartamento a Malo in via Porto 35. Il gip Roberto Venditti ha convalidato i sigilli che sono stati apposti dai militari del tenente Stefano Rizzello, sottolineando con forza che «lo stabile risulta privo dei requisiti di abitabilità prescritti per la destinazione alla quale era stato adibito». A finire sotto inchiesta è stata l’imprenditrice cinese Aicha Dong, 46 anni, che coordinava l’attività lavorativa nella quale erano impegnati anche il marito, il fratello e la rispettiva compagna, nonché altri quattro operai asiatici. Le otto persone abitavano nella casa-laboratorio che aveva destato più di qualche sospetto tra gli abitanti della zona. Erano arrivate così segnalazioni che hanno spinto gli investigatori delle Fiamme Gialle ad eseguire un’ispezione per verificare l’attendibilità delle voci. Era la metà di novembre quando i militari, di primo mattino, si sono presentati nell’edificio in cui aveva la sede il “Maglificio Fabio di Dong Aicha”, gestito dalla Dong, cui è stato subito consegnato l’ordine di perquisizione e l’informazione dl garanzia, assegnandole come difensore d’ufficio l’avvocato Francesco Rucco, che com’è noto è anche il sindaco di Vicenza. È bastato ai militari eseguire un primo sopralluogo per sincerarsi che risultavano carenti l’igiene, la dimensione dei locali e la sicurezza prevista dal decreto legislativo 81 del 2008. Non solo, quando è stato chiesto alla cinese di esibire sia il certificato di conformità dell’impianto elettrico che il documento di valutazione dei rischi aziendali, la Dong è caduta dalle nuvole. La zona produttiva, nella quale si trovavano venti postazioni di lavoro, si confondeva con quella adibita a dormitorio, spingendo gli investigatori ad agire d’urgenza e di sequestrare il maglificio, impedendo che le presunte violazioni di legge si perpetuassero. Lunga la lista delle cose che, per i finanzieri, non funzionano in materia di abitabilità, igiene, microclima, luce artificiale e servizi igienici. È stata sentita inizialmente a sommarie informazioni la titolare del “Maglificio Fabio” e pare emerga che non aveva né l’abitabilità né alcun documento congruo per dimostrare che l’attività era condotta in condizioni lecite. I finanzieri hanno sequestrato anche l’intera documentazioni amministrativa, per risalire alla filiera del tessile e, in particolare, le aziende vicentine cui il “Maglificio Fabio” praticava forti sconti per il vantaggio derivante dal costo del lavoro stracciato. Il sequestro dei locali era stato eseguito in via d’urgenza per le particolari condizioni in cui lavoravano e vivevano operai e titolare. Non è contestato, invece, lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ivano Tolettini

Suggerimenti