SCHIO. Le testimoni erano decise quando se lo trovavano davanti in caserma o in tribunale. «È lui il rapinatore del cimitero» ripetevano come fosse una litania, incuranti di quanto la memoria possa abbagliare. E ogni volta Nicola Fioravanzo ai carabinieri ripeteva che si trattava di un errore, clamoroso, perché al momento degli assalti era al lavoro o da tutt'altra parte.
Sono trascorsi undici anni da quando la vita del ragazzo di Schio, che tale non è più perché ha maturato 38 anni, venne sconvolta: due ordini di custodia per 50 giorni di arresti domiciliari; una condanna in primo grado a Padova a quasi 5 anni di reclusione, annullata dalla Corte d'Appello di Venezia nel settembre 2015; e alcune archiviazioni per una serie di rapine avvenute tra Padova, Venezia e Treviso.
Nei giorni scorsi il suo legale, l'avvocato Deborah Squarzon, ha avviato la causa in Corte d'Appello contro lo Stato italiano affinché venga condannato a risarcire 50 mila euro allo sfortunato Fioravanzo. «La mia vita è stata stravolta da un sosia - ripete Nicola, che lavora come magazziniere - perché non c'è dubbio che quelle donne fossero in buona fede, solo che non ero io quel rapinatore». Ma carabinieri e giudici non avevano coltivato il dubbio fino a quando una perizia antropometrica volta a comparare le caratteristiche fisiche del rapinatore con quelle di Nicola lo ha scagionato. «Quell'individuo girava con una bandana per non farsi riconoscere - osserva Squarzon -. Nonostante quello le vittime, suggestionate, riconoscevano Nicola perché pareva uguale».