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Nata morta. «Paghino per l’errore»

Il tribunale di Vicenza dove verrà discusso il casoIl reparto di ostetricia dell’ospedale Alto vicentino
Il tribunale di Vicenza dove verrà discusso il casoIl reparto di ostetricia dell’ospedale Alto vicentino
Il tribunale di Vicenza dove verrà discusso il casoIl reparto di ostetricia dell’ospedale Alto vicentino
Il tribunale di Vicenza dove verrà discusso il casoIl reparto di ostetricia dell’ospedale Alto vicentino

Due anni e mezzo dopo, Andrea Stefanini e sua moglie Stefania non riescono ancora spiegare a parole il dolore di vedere la loro bambina venire alla luce già morta. Questo, probabilmente, non sarà mai possibile. «Ma qualcuno deve spiegare a noi cosa accadde quella notte» afferma Andrea Stefanini commerciale alla Ecor di Schio. Niente potrà mai restituire loro Angelica, ma non intendono risparmiarsi nessuna sofferenza pur di arrivare alla verità e ora attendono di conoscere l’esito delle indagini aperte dalla procura vicentina sul caso, nei confronti di Francesco Cappozzo, responsabile dell’unità operativa di Ostetricia e sala parto e dell’ostetrica Silvia Battistin.

Cosa avete provato in quel momento?

«No. Non si può descrivere a parole. Lei non ha idea di cosa significa acquistare una bara per la propria bambina, prenderla in braccio e deporla all’interno. Di cosa significa tornare a casa e far sparire la cameretta, le bambole, i peluches».

E oggi?

«Sono cose che non si possono superare. È una ferita che non si rimarginerà mai e che ci porteremo dentro per tutta la vita. Ci pensiamo ogni giorno. Soprattutto al fatto che se allora le cose fossero andate diversamente lei oggi avrebbe due anni e mezzo».

Per voi la morte di Angelica non è stata una tragica fatalità.

«Infatti. Secondo noi c’è stata negligenza, o sottovalutazione. Qualcuno ha sbagliato. Non sapevamo nulla dello stato dell’indagine in corso e le novità le abbiamo apprese ieri dal Giornale di Vicenza. Noi avevamo presentato subito un esposto, ma era contro ignoti»

Ritorniamo a quella notte. Quando avete capito che qualcosa non andava?

«Durante il travaglio, il battito cardiaco del bambino è tenuto sotto osservazione tramite un tracciato. Dopo qualche ora che eravamo lì, il battito è precipitato. Poi si è ristabilito. L’abbiamo segnalato, ma ci fu detto che non c’era da preoccuparsi.»

E cosa avete fatto allora?

«Cosa dovevamo fare? Ci siamo fidati. Solo che poi il battito è tornato a precipitare ancora. E ancora. E ancora. E poi ogni volta si normalizzava. Ho chiesto se non fosse il caso di chiamare qualcuno, ma la risposta fu che non era necessario».

Fino all’epilogo drammatico.

«Dopo qualche ora è stato chiaro che c’era qualcosa che non andava e si procedette al cesareo. Forse sarebbero bastato intervenire dieci minuti e lei si sarebbe salvata. Rimpiango di non aver buttato subito in aria il tavolo e preteso che facessero qualcosa».

È scontato che se si andrà a processo vi costituirete parte civile. Avete già pensato a una richiesta di risarcimento?

«A dire la verità fino ad oggi no. Certo, abbiamo sostenuto ingenti spese tra legali, periti e specialisti. Il nostro primo interesse era stato escludere che il problema fosse stato nostro. Ora vogliamo solo la verità Se qualcuno ha fatto un errore deve pagare. Sono sicuro che non c’è stata intenzionalità. Ma gli eventuali responsabili devono essere messi nelle condizioni di non sbagliare più».

Elia Cucovaz

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