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La sexy satira è legittima Resentera batte Bertoldi

Il professore e giornalista Giampaolo  ResenteraMaria Loreta Bertoldi
Il professore e giornalista Giampaolo ResenteraMaria Loreta Bertoldi
Il professore e giornalista Giampaolo  ResenteraMaria Loreta Bertoldi
Il professore e giornalista Giampaolo ResenteraMaria Loreta Bertoldi

La satira, anche quella più esasperatamente grottesca e iperbolica, perfino sexy, dunque inverosimile, che prende pesantemente per i fondelli i “personaggi pubblici” nazionali e locali, è sempre lecita. In un sistema democratico, assieme al diritto di critica, rappresenta uno dei pilastri fondamentali della libertà nella formazione dell’opinione pubblica. Che è l’altra faccia della sovranità popolare. E chi, per qualsiasi motivo, decide di metterci la faccia in un Consiglio comunale o di quartiere, o più semplicemente in un’associazione, diventando perciò “personaggio pubblico”, deve farsene una ragione qualora venga preso in giro. Perché sono le regole della democrazia. IL FATTO. La Cassazione civile ha scritto l’ultima parola dodici anni dopo la controversa vicenda che vede contrapposti il giornalista Giampaolo Resentera, direttore del mensile “Schio”, difeso dall’avvocato Daniele Broccardo, e l’ex vicepresidente del Consiglio comunale, nonché all’epoca presidente dell’associazione cattolica “Centro italiano femminile”, Maria Loreta Bertoldi, assistita dal legale Andrea Massalin. Ha dato ragione a Resentera e all’editore Tullio Menin, e torto all’ex consigliera comunale, che in primo grado nel 2010 aveva vinto ed era stata risarcita con 40 mila euro per la presunta diffamazione satirica a mezzo stampa. Adesso Bertoldi deve restituire con gli interessi il ristoro dei danni che non ha patito e che, a distanza di anni, è lievitato per via degli interessi a quasi 50 mila euro. LA VICENDA. Il caso politico-editoriale scoppia nel marzo 2005 quando “Schio”, che adesso non si edita più, pubblica nella rubrica satirica “Il Fischiotto” (circostanza dirimente per i supremi giudici) un attacco al vetriolo di Resentera contro Bertoldi mediante vignette. Il titolo è emblematico: “Mutatis mutandis”. In latino significa “fatti i debiti mutamenti”. La locuzione è usata spesso nelle scienze economiche e sociali. Ma in questo caso alludeva alla biancheria intima. E a corredo c’era la foto seminuda di una ragazzotta. Che non era Bertoldi, anche se ovviamente era lei la destinataria. Il motivo dell’attacco di Resentara? Qualche tempo prima Bertoldi aveva inviato a “Schio” una lettera che criticava la giunta di centrosinistra Luigi Dalla Via, in particolare l’assessora Emila Laugelli. «Bertoldi rinfacciava, metaforicamente, a Laugelli scarsa igiene intima» ricorda oggi Resentera. Ma criticava anche «il contrasto fra le spese investite dal Comune in immagine e la grama figura che lo stesso rimediava quando suoi esponenti intervenivano direttamente con parole o scritti». Resentera, diligentemente, aveva messo in pagina la lettera, ma appena il numero era arrivato in edicola, l’editore Menin lo aveva ritirato. Aveva subito pressioni? Fatto sta che Resentera venne colto in contropiede - in 21 anni di pubblicazioni era la prima volta - e Bertoldi criticò “Schio” dicendo di essere stata censurata. Resentera, tipo fumino, rispondeva sul numero successivo a palle incatenate col “Fischiotto” e la scorticava, metaforicamente. Ma non travalicando i limiti propri dell’esercizio di satira, come scrisse la Corte d’Appello di Venezia che nel 2015 ribaltò la condanna del primo grado, affermando che le pubblicazioni «non erano trasmodate in forme di gratuita diffamazione». TERZO GRADO. Bertoldi ha fatto ricorso in Cassazione e nei giorni scorsi la sezione 3, presieduta da Angelo Spirito, in 10 pagine ha fissato i tre paletti del diritto di satira. È una denuncia sociale e politica che prende di mira personaggi pubblici: da quelli di paese a quelli nazionali; dev’essere collocata in uno spazio apposito, come “il Fischiotto”, che non può essere equivocato dal lettore; infine, è esasperazione grottesca e iperbolica della figura e della condotta del personaggio colpito dalla satira. Quando sono soddisfatti i tre requisiti non c’è diffamazione. Come nella querelle Resentera-Bertoldi. Quest’ultima, insomma, avrebbe dovuto fare come Andreotti, che, pur essendosene sentite dire di tutti i colori, non aveva mai denunciato un giornalista. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ivano Tolettini

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