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In vendita la sagrestia di Sant’Antonio

La chiesa di Sant’Antonio Abate con davanti il monumento ad Alessandro Rossi. [FOTOGRAFO]STUDIO STELLAIl parroco don Bruno Stenco dentro la sagrestia. [FOTOGRAFO]E.CU.
La chiesa di Sant’Antonio Abate con davanti il monumento ad Alessandro Rossi. [FOTOGRAFO]STUDIO STELLAIl parroco don Bruno Stenco dentro la sagrestia. [FOTOGRAFO]E.CU.
La chiesa di Sant’Antonio Abate con davanti il monumento ad Alessandro Rossi. [FOTOGRAFO]STUDIO STELLAIl parroco don Bruno Stenco dentro la sagrestia. [FOTOGRAFO]E.CU.
La chiesa di Sant’Antonio Abate con davanti il monumento ad Alessandro Rossi. [FOTOGRAFO]STUDIO STELLAIl parroco don Bruno Stenco dentro la sagrestia. [FOTOGRAFO]E.CU.

La vendita dell’ex convento delle Agostiniane di via Pasini rischia di lasciare Sant’Antonio Abate senza sacrestia. È questo l’ultimo risvolto della dismissione dell’edificio decisa dall’ordine claustrale, titolare dell’immobile. Ora la parrocchia di San Pietro, proprietaria della chiesa teme da una parte di perdere i locali oggi a propria disposizione, dall’altra di trovarsi fianco a fianco con un nuovo proprietario privato, con tutti gli eventuali problemi che la convivenza tra sacro e profano potrebbe comportare. E così il tentativo di scongiurare la perdita della sacrestia, ha dato il via a una ricerca che conduce in un cassetto dimenticato della storia di Schio.

Tutto era cominciato con la partenza delle ultime suore di clausura avvenuta nel 2005. Inizialmente la parrocchia aveva manifestato interesse all’acquisto di tutto l’ex convento, che oltre agli immobili comprende anche un parco di 8 mila metri quadri che si sviluppa fino all’ex tribunale e alla sede della polizia locale. Di fronte al costo dell’operazione, però, il duomo ha ridotto la manifestazione di interesse alla porzione esistente su via Pasini, dove si trova appunto la sacrestia. Le monache però hanno rifiutato di cedere solo quella parte. Nel frattempo si è fatto avanti un altro acquirente privato per comperare tutto. Sacrestia compresa

Questa infatti si trova nell’edificio che si affaccia su via Pasini, tra la chiesa Sant’Antonio Abate e palazzo Marchesini, che per metà è a servizio della chiesa, per l’altra era usato dalle monache. Secondo il catasto quello stabile, indicato dal mappale 335, è delle agostiniane come tutto l’ex convento. Ma le carte catastali non hanno valore probante e ora San Pietro ne rivendica la proprietà. «Secondo noi c’è stato un errato accatastamento del fabbricato nel corso del ‘900 - spiega l’arciprete, monsignor Bruno Stenco - In realtà quello stabile fu costruito dalla parrocchia e solo in seguito la diocesi ne mise una parte a servizio delle agostiniane».

Una questione che cambierebbe tutto. Non solo Sant’Antonio non perderebbe la sua sacrestia, ma la parrocchia rientrerebbe in possesso dell’intero edificio e di conseguenza la consistenza della vendita dell’ex convento ne uscirebbe ridotta. La parte che si affaccia su via Pasini, rappresenta circa un quinto dell’edificato oggi in fase di cessione. Che contraccolpo potrebbe avere ciò sulla trattativa in corso? È tutto da vedere. Insomma, la posta in gioco vale ben una ricerca che è già iniziata in diocesi per ricostruire i trascorsi del fabbricato, che sono strettamente intrecciati con la storia scledense e con quella dello Stato italiano.

Inizialmente infatti in quella che sarebbe diventata via Pasini c’era solo il convento delle Agostiniane. Il neonato Regno d’Italia, tuttavia, lo confiscò come tutti i beni degli ordini religiosi (che a Schio riguardarono tra l’altro l’ex convento e la chiesa di San Francesco, ancora oggi di proprietà Comunale). L’area fu poi comprata da Francesco Rossi che dopo aver realizzato Sant’Antonio, ne restituì una parte alle monache. Nel frattempo - questo il nodo della questione - la parrocchia avrebbe acquistato da Rossi il terreno allora libero adiacente alla chiesa e vi realizzò una scuola. In seguito parte di quell’edificio fu messo a disposizione (ma non donato) dal vescovo alle monache di clausura, che lo hanno utilizzato fino a quando abbandonarono Schio. Se la parrocchia troverà i documenti che comprovano ciò, il futuro dell’ex convento potrebbe prendere una piega diversa.

Elia Cucovaz

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