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Il Cristo da 50 quintali
cerca una collocazione

Gianfranco Tancredi al lavoro sul crocifisso in marmo.  A.G.
Gianfranco Tancredi al lavoro sul crocifisso in marmo. A.G.
Gianfranco Tancredi al lavoro sul crocifisso in marmo.  A.G.
Gianfranco Tancredi al lavoro sul crocifisso in marmo. A.G.

Un grandioso Cristo in croce scolpito in marmo in dono a chi lo vorrà. A realizzarlo è stato il 77enne maestro Gianfranco Tancredi, in ricordo dei suoi genitori, ma siccome un committente non c’è, l’artista è ora disposto a donare la sua opera da 50 quintali a patto che abbia una collocazione adeguata.

Si tratta di un’imponente scultura appena ultimata nel suo laboratorio e issata con il paranco il giorno di venerdì santo. Le ultime limature e ritocchi, con lo sguardo del- l’artista che pare voglia scannerizzare il corpo di marmo bianco di Carrara, cercandovi eventuali imperfezioni da togliere. Freddo com’è il marmo, ma con l’aspetto di un corpo che è appena spirato.

«Era da tempo, direi quasi da una vita – racconta Tancredi con le mani sbiancate dalla polvere delle ultime rifiniture- che pensavo di realizzare un’opera così grande. E oggi, giusto il venerdì santo, eccola qua la mia passione. Quel mio pensiero messo in pratica…».

Un Cristo in croce di più di tre metri d’altezza, ricavato da un unico blocco di marmo di 68 quintali, divenuti poi 50 nel post lavorazione. Un lento “cavar via” come insegna l’arte scultorea, dalla materia grezza alla scultura finita. Un’arte che l’anziano maestro scalpellino vicentino, uno degli ultimi superstiti dell’antica tradizione della bottega artigiana, ha appreso fin da quando a tredici anni entrò alle dipendenze del laboratorio dei “Peotta” ad Alte Ceccato. Imparata l’arte, da adulto si mise in società con un altro artigiano, fino alla pensione nel 1997.

«L’arte però non va in pensione – precisa lui -, e oggi eccomi ancora qua con la stessa passione di allora». Passione che per il maestro Tancredi, significa materia: legno, creta, pietra, ma soprattutto il candido marmo. «Sì, è proprio il duro marmo di Carrara che mi permette di fare quello che la pietra nostrana non mi concede» spiega l’artista. Ecco allora come una colossale statua di quasi cinque metri finita qualche mese fa raffigurante la madonna di Medjugorje, fa ombra alle quattro vestali delle stagioni o alle più conturbanti e dissolute ninfe della tradizione romana ammassate al centro del laboratorio. Figure dalle pose più diverse, ma soprattutto emblemi di ricordi divenuti scultura, come il caso del fanciullo con le ciliegie: «Quello sarei io da piccolo –spiega il maestro- quando tornando a casa dai campi mi fermavo a rubare qualche frutto dagli alberi. Arrivo da una famiglia semplice di campagna, e la mia arte è stata tutta un rubare consigli dai miei maestri d’arte. Ho imparato tutto con l’esperienza e con questa sono arrivato agli ottant’anni, tenendo ancora in mano lo scalpello».

In verità, se tutto si mostra qui come ai tempi di Palladio, nel suo laboratorio incastonato tra anonimi capannoni nella zona industriale di Montecchio a pochi metri dall’autostrada, la tecnologia è arrivata anche là dove meno te lo aspetti. Il grande crocifisso è quindi la perfetta sintesi di un computer e il lavoro di due mani: «Oggi si sbozza tutto con grande pantografo –spiega Tancredi-, che segue pedissequamente un disegno preparatorio digitalizzato. La macchina ha quindi lavorato su un mio disegno progettuale per più di un mese, facendo emergere dal grande parallelepipedo marmoreo quello che sarebbe diventato un crocifisso. Una sgrossatura che un tempo si faceva a mano, quando il lavoro costava poco o niente».

Tancredi però pur restando un “vecchio dell’arte” è anche un artista che non ripudia le facilitazioni della tecnologia. Una questione anche di forze, visto che scolpire è da sempre un mestiere faticoso.

«È un’opera commemorativa pensata per onorare i miei genitori - aggiunge il maestro -, pensata per essere qualcosa di grande e impegnativo. Tanto che per realizzare il crocefisso sono serviti sei mesi di lavorazione e tante ore da non ricordarmele più». Un Cristo senza un committente quindi, creato rispettando la più pia tradizione, ma con un rimando personale: «Non so dove andrà questo crocifisso. Se trovassi un luogo adatto, sarei disposto anche a regalarlo, sapendo di onorare la memoria dei miei genitori».

Antonio Gregolin

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