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Fermo il nuovo ospedale trovati resti archeologici

Il sopralluogo del dg Giovanni Pavesi al cantiere dell’ospedale.  F.P.
Il sopralluogo del dg Giovanni Pavesi al cantiere dell’ospedale. F.P.
Il sopralluogo del dg Giovanni Pavesi al cantiere dell’ospedale.  F.P.
Il sopralluogo del dg Giovanni Pavesi al cantiere dell’ospedale. F.P.

L’unica certezza è che non c’è alcuna certezza. Non si sa ancora quando si comincerà a costruire il nuovo ospedale. La paura di essere smentiti è più forte della voglia di azzardare una previsione. Esperienze simili fatte in passato, fra burocrazia, procedure e cavilli, sconsigliano di fare qualsiasi ipotesi.

L’architetto Andrea Zuin, direttore delle opere edili all’interno della squadra di esperti creata dalla progettista scledense Luisa Fontana, respinge con tenacia qualsiasi tentativo di estorcere una data. Era stato lui, agli inizi di dicembre, 6 mesi fa, a dire: «La consegna è stata il 9 maggio di quest’anno e noi rispetteremo il contratto. I lavori termineranno dopo 1050 giorni, a marzo del 2019».

Più impossibile delle imprese cinematografiche di Tom Cruise vincere anche la resistenza dell’ing Antonio Muzzolon, che coordina l’ufficio della direzione lavori. Anche gli altri tecnici, l’arch. Adelio Grossi, l’ing. Alberto Ferrari, che assistono all’ultimo sopralluogo effettuato nei giorni scorsi dal direttore generale Giovanni Pavesi e dalla sindaca Milena Cecchetto, si trincerano dietro un compatto riserbo. Niente da fare.

L’unico dettaglio che fa capire come questa vasta area di oltre 34 mila metri quadrati, tornata a cielo aperto dopo l’amputazione della zona-ovest e dell’ala-est del vecchio ospedale, sia un cantiere, sono i caschetti e i gilet gialli che l’ingegnere dell’Ulss Filippo Paccanaro pretende scrupolosamente di far indossare a tutti ma che non servono a nulla perché dal cielo non piovono sassi e questo è un deserto sezionato da transenne che sembra un immenso campo da sminare, land of mine sotto la sabbia.

«Non è colpa nostra. Noi non vediamo l’ora di realizzarlo questo ospedale”. L’arch. Fontana, protagonista di una indimenticata guerra culturale su piazza del Bao a Schio con Vittorio Sgarbi, scalpita. L’entusiasmo è intatto ed irrompe fuori dalla corazza professionale. «La mia aspirazione è stata sempre la sanità, L’architettura è nata per la comunità. È il suo ruolo. E io voglio aggiungerci l’innovazione».

Il suo progetto è come una barca in rada vogliosa di mare. Fontanatelier ha inventato per Montecchio una forma di neo-architettura che è equazione fra cuore tecnologico e coscienza ambientale, ma l’impasse causato dal ritrovamento dei reperti, dopo gli scavi per le indagini archeologiche e belliche, continua.

Tocca alla Soprintendenza di Verona, che a Montecchio ha fatto arrivare Cinzia Rossignoli, dettare tempi e modi per uscire da questa sospensione vischiosa. Vincoli e procedure in questi casi sono sempre rigorosi. Composizioni sul terreno di pietre allineate in forma geometrica fanno supporre la presenza di tombe alto-medievali, forse longobarde, e, in ogni caso, di manufatti antropici, anche se pure qui nessuno si sbilancia. Sono state delimitate tre zone di interesse e ora si faranno saggi mirati per capire cosa può esserci di valore storico e cosa fare.

Un passo in avanti è stato, comunque, fatto. I metal detector, messi in funzione per accertare che nel terreno non siano sepolti ordigni esplosivi, al secondo passaggio per scandagliare gli strati più bassi, hanno captato pochi e deboli segnali. Potrebbero essere non bombe ma resti fossili e materiali ferrosi di scarso rilievo. E questo fa sperare che si possano tagliare altri tempi morti.

Il direttore generale Pavesi morde il freno. L’azienda costruttrice rimane una incognita. Il titolare Severino Guerrato ha avuto problemi giudiziari. L’impresa, la stessa che ha vinto l’appalto all’ospedale di Asiago, sta avendo difficoltà: «Non vorrei – dice Pavesi – che i reperti archeologici diventassero un alibi per rallentare i lavori».

Franco Pepe

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