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Il fondatore della Zanella
«Non cancellatene la storia»

Giuseppe Zanella, al centro, in occasione di un evento, negli anni Settanta quando l’azienda ha vissuto il massimo splendore. COLORFOTOGiuseppe Zanella svela i retroscena dell’azienda che ha fondato
Giuseppe Zanella, al centro, in occasione di un evento, negli anni Settanta quando l’azienda ha vissuto il massimo splendore. COLORFOTOGiuseppe Zanella svela i retroscena dell’azienda che ha fondato
Giuseppe Zanella, al centro, in occasione di un evento, negli anni Settanta quando l’azienda ha vissuto il massimo splendore. COLORFOTOGiuseppe Zanella svela i retroscena dell’azienda che ha fondato
Giuseppe Zanella, al centro, in occasione di un evento, negli anni Settanta quando l’azienda ha vissuto il massimo splendore. COLORFOTOGiuseppe Zanella svela i retroscena dell’azienda che ha fondato

L’importanza e la responsabilità di chiamarsi Zanella. Soprattutto nei giorni, caldissimi, di una delle vertenze più delicate degli ultimi anni. Lo sa bene chi, di quel cognome, ha fatto un brand che ancora oggi, a dispetto dei venti contrari, è sinonimo di lusso, eleganza, qualità. Prima della crisi e del concordato. Prima degli stipendi congelati e dei tavoli sindacali. Prima della vendita ai grandi fondi d’investimento internazionali e prima dell’annuncio della cessazione di attività.

Prima che il sipario cali sulla storica “Zanella” di Caldogno, a chiudere il cerchio dove tutto era cominciato, è Giuseppe, che ha fondato l’azienda insieme al fratello Bernardo. Narra una storia di vita e di lavoro lunga oltre mezzo secolo, legata all’azienda da quasi duemila capi al giorno nel periodo d’oro. Un’azienda che ha fondato e portato ad essere un punto di riferimento per la moda e il made in Italy. Se il pantalone Zanella, presente al Pitti, si vendeva a rovescio, a dimostrazione della perfezione con cui ogni punto, ogni fodera, veniva realizzata, non è certo un caso. Giuseppe Zanella ha 81 anni molto ben portati e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia da quando, ragazzino, cominciò a fare il garzone nelle sartorie di Caldogno e Vicenza (tra cui la “Zanella” di piazza dei Signori).

Cos’ha provato alla notizia della chiusura dello stabilimento di Caldogno?

«Tanta amarezza e tristezza anche se ho cominciato a soffrire nel 1992, quando ho ceduto l’azienda. Di errori nella gestione ne ho fatti anch’io, sono stati quelli a portarmi al ritiro ma forse, ciò che è cambiato da quando me ne sono andato, è l’attenzione ai mercati e al cliente, al fitting. Noi producevamo un pantalone particolare, con una vestibilità adatta all’uomo americano perché pensata inizialmente per i giocatori di basket, alti e possenti. Questo target si è perso in quanto è venuto meno il rapporto con i rappresentanti, con il mercato. La filosofia Zanella è stata soppiantata dagli interessi e dalla divisione della società in tante scatole cinesi».

Oltre ad essere imprenditore lei ha fatto consulenze ad aziende tessili in tutto il mondo: come tratterebbe ora la Zanella?

«A Tengram direi di mantenere lo stabilimento di Caldogno, che è prezioso, magari ridimensionandolo. Il brand Zanella va sfruttato ancora, con lungimiranza, ascoltando i mercati, curando i rapporti con i rappresentanti esteri e, soprattutto, recuperando l’antica attenzione al cliente. La soluzione potrebbe essere conservare la parte tecnica, la modellistica e l’ufficio prototipi, lavorando anche per altre firme e spostare al più la produzione. L’azienda è cambiata tante volte negli anni, reinventandosi continuamente in un mercato veloce e volubile com’è quello della moda».

Tante vite e tanti traguardi, in sessant’anni di storia...

«Siamo nati come laboratorio artigianale a Capovilla. Mia mamma era una sarta e mi diceva sempre quando andavo a bottega “copia con gli occhi”. Si producevano impermeabili e pantaloni da sci e di flanella, riuscendo a rompere un binomio, giacca-pantalone che sembrava inscindibile, fino ad arrivare al successo dei jeans Ufo negli anni ’70 e ’80. Me li mostrò per la prima volta un cliente romano nel ’68 e subito partii per New York. Per una settimana li cercai per tutta la città fino a trovarli, il marchio era di un certo Lio Brody, in un negozietto nel Bronx».

Non c’è stato solo il marchio Ufo nella storia dell’azienda.

«Nell’85 avremmo voluto comprare il brand Ufo dagli americani, che dal ’68 avevano applicato lo stesso contratto utilizzato all’estero dalla Coca Cola, con le royalties al 9 per cento. Non andò bene e allora decidemmo di orientarci sullo sportswear con “Henry Cotton’s”, che acquistammo dai fratelli Durelli in un periodo in cui, tra dipendenti e indotto, Zanella dava lavoro a 700 persone».

Giulia Armeni

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