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«Ho costruito i treni che desideravo da bimbo»

Sergio Piccolo nel garage-museo della sua abitazioneLa riproduzione di un carro armato con cannone della Regia marina
Sergio Piccolo nel garage-museo della sua abitazioneLa riproduzione di un carro armato con cannone della Regia marina
Sergio Piccolo nel garage-museo della sua abitazioneLa riproduzione di un carro armato con cannone della Regia marina
Sergio Piccolo nel garage-museo della sua abitazioneLa riproduzione di un carro armato con cannone della Regia marina

Un trenino in miniatura. L’aveva desiderato e immaginato più volte mentre se ne stava solo nello stanzone del collegio dove era stato lasciato, perché figlio di una ragazza madre. Era invidioso dei bambini vestiti alla marinaretta, un po’ annoiati, che a Natale ricevevano le nuovissime locomotive di latta. A lui ne sarebbe bastata anche una di legno, magari scartata dagli annoiati bimbi vestiti alla marinaretta. Li aveva tanto desiderati, quei trenini, che un giorno cominciò a costruirseli. E non si accontentò di farli piccoli, li volle grandi, pesanti, di acciaio, che tutti li potessero ammirare. L’esagerazione di chi si riscatta. È così che si è avverato il sogno di Sergio Piccolo, l’uomo dei treni. Ferroviere per lavoro e nel cuore. Nella sua abitazione ha messo in piedi un museo dove ospita perfette riproduzioni di locomotive a vapore, con i carri e i binari. Non sono cose da ladri, Piccolo in questo è tranquillo: si tratta di riproduzioni che arrivano anche a tre metri di lunghezza, fatte di acciaio e trasportabili solo con una gru. «Ci vogliono almeno sei uomini solo per spostarle - dice orgoglioso - ora che, a 77 anni, non le costruisce più perché le gambe non lo reggono. I treni più famosi, Sergio li ha ricostruiti: dalla “Vaca mora” all’Orient Express, passando dalla prima locomotiva della storia d’Italia, che collegava Napoli a Portici. Un lavoro immane. «Per costruire il carro con il cannone della Marina usato nella Grande Guerra a Chiuppano ci ho messo due anni», racconta ancora Piccolo. «Sono andato al Museo del risorgimento di Vicenza, ho guardato le foto e ho cercato di ricostruirlo nei minimi dettagli. Ed eccolo lì, in scala 1: 10, lungo tre metri contro i 30 di quello vero. Un bestione da 4 quintali di acciaio. Eh, ma non lavorato a caldo, mica faccio ferro battuto io. Tutto a freddo, piegato con tenaglie e altri attrezzi». Follia, verrebbe da dire. No, semplicemente passione, cuore, cervello e una dannata pazienza che ti fa vincere anche la più distruttiva stanchezza. Perché Sergio i treni li costruiva mentre lavorava in stazione a Vicenza. Di notte faceva i turni come addetto agli scambi e ai movimenti e di giorno lavorava, lavorava, lavorava. «Non mi sono mai spaventato. Sono stato un marinaio volontario, a 16 anni; è stata l’occasione per riscattarmi, dopo essere stato in collegio. Poi il regalo di essere assunto dalle Ferrovie dello Stato, io che avevo sempre desiderato trenini». Ora la sua collezione viene richiesta alle mostre, nonostante ci vogliano le gru per portar via le 15 locomotive e i binari, che arrivano fino a 10 metri. Sergio ne è fiero, ma non ha mai pensato di vendere i suoi pezzi. Nemmeno uno. «Una volta un tedesco mi ha offerto milioni, quando ancora c’era la lira, ma io non mi stacco dalle mie creazioni. Queste sono opere d’arte, sia chiaro, lo dico sempre, non sono copiate e basta, ci metto del mio. Guardi quella locomotiva, apra lo sportello sul muso, dentro ci ho messo una Madonna di Monte Berico, perché sono molto devoto. Lo era anche mia moglie Adriana (Pellegrin ndr), che se ne è andata sei mesi fa. Mi ha sempre seguito, aveva capito che questa era la mia vita. Lei mi guarda sicuramente dal cielo e veglia anche sulle mie locomotive. E prima o poi arriverà anche il treno che mi porterà da lei». È sereno Sergio, nel parlare dei binari della vita. Del resto ha la tempra di un marinaio di lungo corso. Il treno che lo porterà da Adriana, ne siamo certi, non è ancora partito e di sicuro arriverà con grande ritardo. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Dennis Dellai

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