Con la morte di Ivo Piaserico, avvenuta ieri mattina all’ospedale di Vicenza, se n’è andato un pezzo di storia: quella dei 650.000 militari italiani internati nei campi di concentramento tedeschi dopo l’8 settembre del 1943. A loro Piaserico, scomparso a 95 anni d’età, ha prestato voce e gambe, come presidente dell’Anei Vicenza, l’associazione che raduna i reduci dai campi di prigionia e, soprattutto, come testimone in tantissimi incontri pubblici. L’ultimo si è svolto lo scorso 8 settembre, a Costabissara, dove Piaserico ha pronunciato un breve saluto presso il cippo dedicato a padre Massimiliano Kolbe, patrono degli internati. Il reduce si è spento al San Bortolo, in seguito alle complicazioni provocate da una caduta sulle scale di casa, a Marola.
Nato a Venezia il 20 aprile del 1922, dopo essere rimasto orfano di padre, all’età di 4 anni si trasferì con la madre Antonietta Zocca e le sorelle a Quinto Vicentino. Qui la madre aprì una trattoria, dove Ivo cominciò a lavorare. Finita la terza media, Ivo iniziò a lavorare come commesso in un negozio di alimentari e la sera si dedicava allo studio del telegrafo, che gli permise di venire assunto dalle Ferrovie dello Stato, nel 1941. L’anno successivo venne chiamato alle armi e mandato prima a Belluno e, successivamente, alla caserma “Italia” di Tarvisio. Al confine con l’Austria. In treno, sui famosi carri bestiame, iniziò l’odissea di Ivo, che toccò Fallingbostel, tra Hannover ed Amburgo, e poi Hilkerode, succursale di Buchenwald. Il ritorno a casa, alla fine della guerra, avvenne il 31 agosto del 1945.
«I ricordi più vivi nei racconti di mio padre erano la fame e la cattiveria dei soldati tedeschi, ma anche la solidarietà e i sotterfugi escogitati dalle famiglie tedesche – ricorda Paolo, il figlio 51enne di Ivo -. La sua sopravvivenza è legata a casi fortuiti. Una volta si finse elettricista, ma il bluff venne scoperto quando i soldati si resero conto che non ne sapeva niente. “Se c’era il capo – gli dissero – ti avrebbe fatto fucilare”. La fame era tremenda. Mangiavano una volta al giorno. Una volta lui e i suoi compagni cucinarono un gatto». O rubavano patate, come lo stesso Piaserico ricordò nel 2005 ad Hilkerode, invitato dal borgomastro di allora per commemorare la tragedia degli internati.
Finita la guerra, Piaserico riprese a lavorare per le ferrovie.
Nel 1965 si è sposato con Ivana, di 15 anni più giovane e per un periodo ha svolto il mandato di consigliere comunale a Quinto Vicentino. «Dopo gli stenti del campo di concentramento, quelli nelle ferrovie furono gli anni belli nella vita di mio padre – racconta ancora Paolo Piaserico -. Divenne capostazione a Venezia e a Calalzo di Pieve di Cadore. Conobbe molti attori e personalità politiche. Ricordava sempre con piacere una lunga chiacchierata con Sandro Pertini».