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Perde la vista e Poste la licenzia Viene risarcita

Le Poste centrali di Bassano, dove lavorava l’impiegata
Le Poste centrali di Bassano, dove lavorava l’impiegata
Le Poste centrali di Bassano, dove lavorava l’impiegata
Le Poste centrali di Bassano, dove lavorava l’impiegata

Le Poste la licenziano perché quasi del tutto cieca, lei fa causa e ottiene un risarcimento pari a 22mila euro. Dopo quattro anni di calvario, Anna Rosa Roccolino, residente a Mussolente, è riuscita a ottenere un parziale ristoro alle sofferenze patite, e che continua a patire. Tutto ha avuto inizio nel dicembre del 2014, quando la donna, all’epoca 47enne, si è sottoposta a una visita di controllo per dei problemi agli occhi. Durante l’esame medico, è stata dichiarata temporaneamente inidonea all’uso del computer. Anna Rosa lavorava come sportellista alle Poste di Mussolente, ma dopo pochi mesi, nel maggio 2015, è stata trasferita allo sportello di Bassano. Nel frattempo, la sua vista è continuata a peggiorare a causa di una malattia alla retina, tanto che nel giugno 2015 è stata dichiarata permanentemente inidonea all’uso del computer e nell’ottobre dello stesso anno invalida civile al 70 per cento, come certificato dai medici. Allo sportello di Bassano è stata quindi impiegata come operatore d’accoglienza, mansione attivata dalle Poste a partire da marzo 2016. Per un anno, la donna ha continuato a lavorare occupandosi di questo servizio. Soltanto che, a un certo punto, le Poste hanno previsto che l’operatore di accoglienza si occupasse anche della promozione dei prodotti aziendali, utilizzando a tale scopo i computer. La vista della donna, però, la stava progressivamente abbandonando, impedendole perciò di usare i computer. Tanto che nel marzo del 2017 è stata dichiarata inidonea nel modo assoluto a qualsiasi proficuo lavoro in ambito aziendale. Il 6 aprile di quell’anno è stata licenziata. Roccolino, assistita dall’avvocato Giuseppe Lavorgna di Benevento, ha fatto quindi causa alle Poste, chiedendo il reintegro nel posto di lavoro e un risarcimento non inferiore alle cinque mensilità. In primo grado, la donna ha vinto. Il giudice ha riconosciuto sì che la donna era inidonea all’uso del computer, ma che la società aveva comunque l’obbligo di proporre alla lavoratrice delle mansioni alternative. Cosa che in sede processuale non è stata dimostrata. «Poste - scrive infatti il giudice - non ha proposto alla lavoratrice alcuna mansione, né equivalente né inferiore, sostenendo al contrario che non esiste alcun obbligo del datore di lavoro in tal senso». Per cui, nonostante il licenziamento sia stato «sorretto da un giustificato motivo oggettivo processualmente provato», per il giudice le Poste hanno violato «l’obbligo di repechage», e cioè di provare a ricollocare il lavoratore in un’altra attività. Il giudice ha quindi accolto il ricorso di Roccolino, condannando Poste al pagamento un’indennità complessiva di 24 mensilità (circa 36 mila euro). La società ha però fatto ricorso e il giudice del lavoro di Roma ha invitato le parti a trovare un accordo. La donna ha quindi rinunciato a 9 mensilità su 24 e ha ottenuto un risarcimento pari a circa 22 mila euro. La decisione di accettare l’accordo è stata presa dalla famiglia della donna per evitarle ulteriore stress emotivo, essendo ella già provata dalla perdita parziale della vista. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Enrico Saretta

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