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Bassano

È stata sequestrata
e picchiata: «Pensavo
volesse uccidermi»

Manuela Bianchin, la donna picchiata dall’ex convivente
Manuela Bianchin, la donna picchiata dall’ex convivente
Manuela Bianchin, la donna picchiata dall’ex convivente
Manuela Bianchin, la donna picchiata dall’ex convivente

«Non accettate nemmeno uno schiaffo, non abbiate pena per loro, perché loro non l’avranno mai per voi. Appena i vostri uomini si azzardano a colpirvi, denunciateli. Perché non cambieranno e, anzi, vi picchieranno ancora più forte».

Per arrivare a pronunciare queste parole, Manuela Bianchin, 37 anni, originaria di Solagna, vittima dell’aggressione subita martedì in via Ca’ Dolfin, ci mette mezz’ora. È affacciata alla finestra dell’appartamento di un amico che la ospita, e che insieme ai carabinieri di Bassano l’ha convinta a denunciare il fidanzato.

«Credevo volesse uccidermi - racconta - non si fermava più». Manuela non permette a nessuno di entrare in casa, e non solo perché non è la sua. Vuole riflettere su quello che è successo. Da sola. Vuole capire come ha potuto giustificare quell’uomo violento. «Quella di martedì era la quinta aggressione che subivo da lui - racconta - La prima volta che mi ha dato uno sberlone stavamo insieme da qualche settimana. Io lo amavo. Era l’inizio. Mi sembrava tutto bello. L’ho perdonato. Mi è stato presentato da amici e all’inizio sembrava una persona a posto, così sono andata a vivere con lui». Di lì a poco, invece, a suo dire le cose sono cambiate. «Si svegliava la mattina e mi picchiava - prosegue Manuela - e non c’era mai un motivo. Lo faceva e basta, poi tornava tutto come prima. Non era la prima volta che frequentavo uomini con la sberla facile, ma nessuno mi aveva mai ridotta in questo modo».

Non era la prima volta. Forse è stato per questo che la donna all’inizio ha sopportato. «Ci ero abituata, ma l’abitudine fa brutti scherzi - afferma - Poi ti sembra che tutto sia normale, anche quello che di accettabile non ha proprio niente. Qualche volta ti convincono pure di meritarlo, o che la giustificazione sia quasi valida. Gli errori partono tutti da lì: dalle giustificazione che diamo perché amiamo, perché siamo buone, e allora ci condanniamo a un destino terribile».

Sabato scorso, quando è avvenuta la prima aggressione, Manuela l’ha capito. «Mi ha dato un pugno in faccia, poi mi ha sbattuta sul pavimento, mentre tentava di strangolarmi - spiega - Ha dato l’allarme la vicina di casa. I carabinieri sono arrivati in due minuti e l’hanno fermato. Avevo un occhio livido, prognosi di dieci giorni. Non l’ho denunciato perchè mi faceva pena, anche se non capivo perchè. Quando alla sera ha visto che non riuscivo ad aprire la palpebra per il gonfiore dato dal pugno, si è pure messo a ridere. Mi prendeva in giro, mi ha detto che mi aveva fatto un bel trucco».

Martedì l’epilogo che ha portato all’arresto: «Si è svegliato agitato - racconta Manuela - e verso le dieci, all’improvviso, ha cominciato a prendermi a pugni in faccia, a darmi calci. Mi sono raggomitolata per proteggermi. Ha chiuso la porta e nascosto le chiavi: non potevo scappare. Quando ho sentito arrivare i carabinieri ho pensato che mi avrebbe ammazzata. Poi sono arrivati anche i pompieri e sono entrati tutti dalla finestra del balcone per bloccarlo. Solo allora ho capito che ero salva».

E questa volta Manuela ha denunciato. «Mi fa male dappertutto ma sto meglio - conclude - Ho scelto di raccontare la mia storia solo per le donne che si trovano nella mia stessa situazione: denunciate subito, non accettate nemmeno una sberla. Non fatevi fare quello che ha fatto a me».

Francesca Cavedagna

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