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«Tumore legato al lavoro»
Ma l’azienda è in regola

La sede dell’Inail di Vicenza in viale Milano. FOTO ARCHIVIO
La sede dell’Inail di Vicenza in viale Milano. FOTO ARCHIVIO
La sede dell’Inail di Vicenza in viale Milano. FOTO ARCHIVIO
La sede dell’Inail di Vicenza in viale Milano. FOTO ARCHIVIO

Un dipendente di Acque del Chiampo, società pubblica arzignanese che gestisce il ciclo idrico integrato nell’Ovest Vicentino, si ammala di tumore nel 2009. E fa causa all’Inail chiedendo l’indennizzo per esposizione a onde elettromagnetiche. La prima sentenza del giudice gli riconosce una rendita di 150 euro al mese accogliendo la perizia del professor Daniele Rodriguez, docente di medicina legale all’università di Padova, che stabilisce un nesso tra l’esposizione alle onde elettromagnetiche sul luogo di lavoro e la malattia, un tumore al midollo osseo per cui in questi anni è stato sottoposto a cure e chemioterapie.

Ma la vicenda per l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) non è finita qui: ha infatti presentato ricorso e a settembre sarà la Cassazione a doversi esprimere.

IL CASO. Il caso sta creando molto scalpore, perché se la prima sentenza verrà confermata la questione di lavoratori esposti a onde elettromagnetiche potrebbe allargarsi a macchia d’olio e investire tantissime realtà sul territorio. Di fatto sarebbero i limiti previsti dalla legge ad essere sotto accusa. Perché Acque del Chiampo ha rispettato quanto stabilito dalla normativa, non si tratta dunque di negligenza o mancato rispetto delle norme. E per la prima volta la società di via Ferraretta si è trovata a dover affrontare una situazione di questo tipo.

NORME RISPETTATE. «Acque del Chiampo rispetta ampiamente i limiti di legge sulle emissioni di onde elettromagnetiche. Su questo siamo assolutamente sereni - spiega il direttore di Acque del Chiampo Alberto Piccoli - la società da anni sottopone periodicamente gli impianti alle misurazioni previste ed è assolutamente in regola. Ma siamo comunque disponibili ad adottare ulteriori misure, indipendentemente dai limiti fissati dalla legge, per limitare l’eventuale esposizione e per tutelare la salute dei lavoratori. Nei prossimi giorni ci confronteremo con associazioni e rappresentanti sindacali per valutare la vicenda. E potremo avvalerci di validi professionisti esterni per tutti gli approfondimenti del caso. Tra l’altro, in ottemperanza alle norme, sottoponiamo il personale ad un preciso protocollo sanitario e nelle prossime valutazioni coinvolgeremo anche il nostro medico competente, che è comunque un soggetto esterno all’azienda».

LA STORIA. Nella società arzignanese, che conta 188 dipendenti, l’operatore dipendente dal 1999 (e ammalato dal 2009), è stato comunque spostato da tempo ad altre mansioni ma soltanto perché, certificata la malattia, l’azienda ha scelto di assegnarlo ad un ruolo fisicamente meno impegnativo in considerazione delle cure che seguiva. Per una questione di attenzione. «Sapevamo che aveva presentato richiesta all’Inail di riconoscimento di malattia professionale diversi anni fa ma che gli era stata negata. Nient’altro», precisano ad Acque del Chiampo.

REAZIONI. «Attendiamo la sentenza della cassazione - aggiunge Giorgio Gentilin, presidente del Consiglio di Bacino Valchiampo e sindaco di Arzignano, comune socio di maggioranza in Acque del Chiampo - abbiamo chiesto alla società un report da presentare all’assemblea dei sindaci anche se Acque del Chiampo è nel pieno rispetto dei limiti di legge. Ora sarà importante capire, ma la risposta dovrà arrivare dalle autorità, se effettivamente i limiti attualmente previsti dalla normativa possano essere davvero nocivi per il lavoratore. Se fosse così il problema si allargherebbe in maniera imponente a tante realtà».

Luisa Nicoli

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