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«Chiederemo indennizzi all’Europa»

Uno dei cartelli che vieta l’accesso in un allevamento di anatre a Cagnano di Pojana Maggiore per ordine dell’Ulss. MASSIGNAN
Uno dei cartelli che vieta l’accesso in un allevamento di anatre a Cagnano di Pojana Maggiore per ordine dell’Ulss. MASSIGNAN
Uno dei cartelli che vieta l’accesso in un allevamento di anatre a Cagnano di Pojana Maggiore per ordine dell’Ulss. MASSIGNAN
Uno dei cartelli che vieta l’accesso in un allevamento di anatre a Cagnano di Pojana Maggiore per ordine dell’Ulss. MASSIGNAN

Paolo Mutterle

CAMPIGLIA DEI BERICI

Lorenzo Dall’Armellina esce dalla sua azienda di via Pilastri e ci viene incontro a testa alta. «Vi aspettavo». Il suo è uno degli allevamenti nei quali si è sviluppato un focolaio di influenza aviaria. «Solo in un capannone su cinque - precisa -. Ma per precauzione saranno abbattuti tutti i capi, trenta mila tacchini. Non ho nulla da nascondere, tutte le misure di biosicurezza sono state rispettate. Abbiamo ricevuto le visite degli esperti dell’istituto zooprofilattico. Purtroppo sono epidemie che capitano periodicamente. Era già successo nel 1999, rispetto ad allora sono stati fatti grossi passi avanti. Ora sono solo preoccupato per la mia azienda: ci lavoriamo in due, io e mia sorella. Una stima dei danni? Impossibile da dire, i tacchini non sono miei, ho un contratto con una grossa azienda. Alla fine temo sarò io a rimetterci, anche se in questo momento è l’ultimo dei miei pensieri».

Il clima è diverso qualche chilometro più a sud, a Pojana, nell’allevamento di anatre della famiglia Garzotto, tra Cagnano e Noventa. Qui i volatili da abbattere sono almeno 8 mila. «Siamo arrabbiati, è una vergogna. Le nostre bestie abbattute a scopo precauzionale. Non solo le anatre, anche tacchini e polli. Almeno avessero lasciato fare a noi, evitando altre spese. Questa storia rischia di costarci migliaia di euro. Non abbiamo altro da dire».

Il presidente dell’Ava, l’Associazione veneta degli allevatori, il vicentino (di Longare) Ezio Berti, prova a portare buone notizie. «Teniamo sotto controllo i danni subiti dai nostro soci e presenteremo tutti i conti all’Unione europea per gli indennizzi che spettano. Oltre ai capi da abbattere ci sarà probabilmente anche una quarantena. La perdita di ricavi non riguarda solo gli allevatori, ma l’intera filiera, dai macelli a chi si occupa della lavorazione delle carni». Sull’erogazione degli indennizzi, però, non c’è certezza. «Siamo in mano alle decisioni di Bruxelles. E non è che l’Italia venga trattata molto bene. Le aziende dovranno presentare le pezze giustificative per accedere ai risarcimenti. Si cerca di salvare il salvabile».

Secondo le ordinanze dei sindaci, scritte seguendole indicazioni dei veterinari dell’Ulss, i privati cittadini che possiedono galline o tacchini nel raggio di sorveglianza dai focolai non dovranno abbattere i capi di proprietà. Un aspetto che fa storcere il naso agli allevatori. «Vogliamo capire il perché di questa diversità - commenta Berti -. L’obbligo di abbattimento dovrebbe valere per tutti o per nessuno. E per i polli prossimi alla macellazione si dovrebbe consentire l’uccisione al macello. La carne cotta è sicura. Non può diventare veicolo di infezione».

Per quanto riguarda le cause, in attesa degli esiti delle analisi, c’è il forte sospetto che a trasportare il virus H5N8 siano stati animali selvatici migratori. «Assistiamo a una proliferazione di oche e aironi. Loro si immunizzano, ma contaminano le zone umide e i nostro animali vengono contagiati. E questo - conclude Berti - nonostante la biosicurezza negli allevamenti sia più elevata che in passato».

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