<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Louise May Alcott e «Piccole donne» la saga evergreen

Le protagoniste del film «Piccole donne» del 1949
Le protagoniste del film «Piccole donne» del 1949
Le protagoniste del film «Piccole donne» del 1949
Le protagoniste del film «Piccole donne» del 1949

Le brave ragazze delle passate generazioni leggevano avidamente «Piccole donne», con i cuori palpitanti che le facevano restie a congedarsi dal libro. Impossibile non farsi cullare da un’eterna bellezza dello spirito, fatta di valori che non impallidiscono mai. E’ un classico che compie 150 anni, ma rimane un evergreen capace di superare le semplificazioni cui è stato sottoposto: genere romanzesco per l’infanzia, imitazione dei temi buonisti di Dickens, ripresa del sentimentalismo da feuilleton. Comunque si è sempre pensato che chi non si sente parte del nido familiare delle sorelle March sarà infelice per sempre. La convinzione di essere alle prese con un capolavoro raddoppiò le energie di Louisa May Alcott tra l’estate e l’autunno 1868: la leggenda vuole che in quattro settimane abbia scritto di getto «Little women» al ritmo di 14 ore al giorno, accettando da un editore una prima tiratura di appena 2000 copie. «Fu il primo uovo d’oro del brutto anatroccolo», sintetizzò l’autrice nel proprio diario. In verità le fanciulle protagoniste Meg, Beth, Amy e Jo iniziavano una lunga vita, tornando in «Piccole donne crescono», «Piccoli uomini» e «I ragazzi di Jo». Il successo fu meritato, tanto che la saga fece il giro del mondo con consensi straordinari; in Italia ebbe larga diffusione negli anni ’60, ma la critica si dimostrò impreparata perché non conosceva la Alcott nel contesto in cui visse. A colmare l’avarizia delle biografie è stato pubblicato «Non ho paura delle tempeste. Vita e opere di Louisa May Alcott» (Flower-ed) di Romina Angelici, che annoda gli eventi dell’esistenza della scrittrice americana con la carriera letteraria. Nata nel 1832 a Germantown (Pennsylvania), grazie alle amicizie del padre la Alcott frequentò i trascendentalisti, filosofi-scrittori che univano una forte religiosità alla cultura, con nomi del calibro di Henry David Thoreau, Nathaniel Hawthorne e Ralph Waldo Emerson. Quest’ultimo le permise di accedere ai propri libri, perciò la giovane lesse e amò Platone, Goethe e Dickens distinguendo la letteratura d’evasione, allora di moda, da quella etica e pedagogica. Iniziatasi a 16 anni al racconto senza preclusioni di forma, dal romantico al favolistico e dall’avventuroso al gotico, contattò presto il mondo dei giornali portando i suoi scritti, ma dovette subire le umiliazioni delle respinte o di irrisori compensi, nonché il compromesso dello pseudonimo maschile. Per vivere fece tutti i lavori possibili, ma il periodo più difficile fu nella guerra di Secessione, quando da infermiera in un ospedale militare contrasse la febbre da tifo, portandone per sempre le conseguenze. I due viaggi in Europa come dama di compagnia - a Londra, Ginevra, Parigi, Nizza e, in Italia, a Como, Milano, Firenze e Roma - le diedero ispirazione ma vi trovò pure il suo unico, sfortunato amore per il musicista Ladislas Wisniewsky, ritratto nell’affascinante Laurie di «Piccole donne». I lutti rafforzarono la vocazione alla solitudine, ma negli anni ’70 la scrittrice reagì impegnandosi per l’emancipazione femminile. La sorte volle che la morte la cogliesse nel marzo 1888 per un’improvvisa febbre, a soli due giorni dal decesso del padre. Il suo contesto di vita è in parallelo con quello della famiglia March. Vi combacia la lezione etica: le cadute diventano occasioni per sforzarsi a riemergere, in un ideale di progresso che tempra la personalità. La Alcott sapeva di essere una piccola-grande donna e sosteneva: «Io non ho paura delle tempeste perché sto imparando a governare la mia barca». Il sale della vita è l’ottimismo: «Piccole donne» lo fa percepire con il passaggio dal rigido inverno alla ridente primavera. Metafora spesso rispettata nelle rivisitazioni sugli schermi. Tra le versioni più note, quelle del 1933 con Katherine Hepburn, del ’49 con Elizabeth Taylor, del ‘94 con Winona Ryder e Susan Sarandon, oltre ad un lontano sceneggiato Rai (1955) e ad uno recente della Bbc (2017). A fine 2019 ci sarà un altro remake, con regia di Greta Gerwig e interpreti Meryl Streep (zia March), Emma Stone, Saoirse Ronan, Florence Pugh e Timothée Chalamet. Il fascino dell’opera continua perché, come crede Jo, il romanzo supera la realtà. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Stefano Vicentini

Suggerimenti