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Troppi reperti, scavi archeologici fermi

L’archeologo Marco Peresani sul luogo dei ritrovamenti.ARCHIVIO
L’archeologo Marco Peresani sul luogo dei ritrovamenti.ARCHIVIO
L’archeologo Marco Peresani sul luogo dei ritrovamenti.ARCHIVIO
L’archeologo Marco Peresani sul luogo dei ritrovamenti.ARCHIVIO

Matteo Guarda Troppi i reperti riportati alla luce e quindi niente scavi. Salta la campagna archeologica al Cuoleto de Nadal, la grotta preistorica che si trova a mezza collina nella Val di Calto, in territorio di Zovencedo, ai confini con Val Liona e Villaga. Nell’importante sito che si trova nel cuore dei Berici gli archeologi dell’università di Ferrara, coordinati dal prof. Marco Peresani e dalla ricercatrice Alessandra Livraghi, hanno finora riportato alla luce qualcosa come 20 mila resti risalenti fino a 70 mila anni fa, all’epoca dell’uomo di Neanderthal. Tra questi, il dentino da latte appartenuto a un bimbo dell’età di 8 anni, l’abitante più antico del Vicentino di cui si abbia traccia. L’equipe universitaria per oltre due anni ha scavato i detriti depositati nel profondo antro al ritmo di un paio di campagne l’anno, a primavera inoltrata e verso fine estate. Ma l’attesa ripresa primaverile per concludere la ricerca e l’analisi di eventuali ulteriori prove della presenza umana negli strati più avanzati non è stata messa in programma per quest’anno. A confermarlo è lo stesso prof. Peresani. «Il materiale da studiare fermo nei depositi del dipartimento è talmente tanto che dobbiamo fermarci almeno per un anno, altrimenti rischiamo di rimanere ingolfati col lavoro», spiega il docente universitario diventato membro dell’Accademia Olimpica di Vicenza. «Questi tempi sono dettati dal procedere rigoroso della scienza e servono per dare maggiore sicurezza ai dati raccolti e, in ultima analisi, alla stessa nostra ricerca. Occorre quindi rispettare una tempistica che è fisiologica per ottenere i risultati delle analisi e renderli confrontabili. Sono necessari per dar modo di ponderare i riscontri sul materiale attualmente a disposizione e per poter vedere validate le nostre valutazioni dalla comunità scientifica a livello internazionale». La montagna di reperti raccolti a Zovencedo, per lo più ossa di animali cacciati e utensili usati dagli uomini preistorici, sta comunque portando ad alcuni primi frutti. «Oltre a un dottorato di ricerca che è stato istituito dall’università di Ferrara con l’ateneo spagnolo di Tarragona e quello francese di Parigi, che sta per essere avviato per approfondire lo studio di quanto ritrovato in Val di Calto – precisa il professore - c’è stata già una prima tesi di laurea che si è basata sulle schegge di ossa usate per incidere la pietra, un aiuto per comprendere l’evoluzione umana sotto l’aspetto della diffusione del mancinismo al tempo dei neanderthaliani». La mancata ripresa degli scavi non è dunque dipesa da una questione legata ai fondi, che sono arrivati sia da parte di contributi privati, sotto forma di sponsorizzazioni, che dal Comune di Zovencedo. Circa 13 mila euro impiegati per vitto e alloggio per tre mesi di una decina tra ricercatori e laureandi. La campagna archeologica finale resta perciò soltanto rimandata. «Se ne riparlerà a primavera dell’anno prossimo», annuncia Peresani. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Matteo Guarda

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