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LA GUERRA LUNGA 20 ANNI. L’allevatore irriducibile («mi avevano offerto di “sistemare” le cose») si è studiato 14 mila pagine di atti giudiziari: attende novità dalla procura

«Multe latte
La verità sta
per venire fuori»

Eugenio Rigodanzo con le sue mucche nell’azienda di LonigoVancimuglio 1997: gli agricoltori “sparano” letame sull’autostrada
Eugenio Rigodanzo con le sue mucche nell’azienda di LonigoVancimuglio 1997: gli agricoltori “sparano” letame sull’autostrada
Eugenio Rigodanzo con le sue mucche nell’azienda di LonigoVancimuglio 1997: gli agricoltori “sparano” letame sull’autostrada
Eugenio Rigodanzo con le sue mucche nell’azienda di LonigoVancimuglio 1997: gli agricoltori “sparano” letame sull’autostrada

Piero Erle

LONIGO

«Non ha senso festeggiare. La questione è tutta in alto mare». Se chiedi di ricordare “Vancimuglio 1997” a Eugenio Rigodanzo, allevatore di Lonigo che 20 anni dopo la grande protesta continua la sua battaglia come fosse il primo giorno - anche a costo di dover vendere parti di proprietà - e ha perfino ridotto il numero di mucche in stalla, parte un fiume in piena. Quel famoso 20 novembre era il suo trattore a guidare la lunghissima carovana di mezzi che da Vancimuglio si spostò verso il casello di Vicenza est per la manifestazione prevista in A4 («la polizia era avvisata, dovevamo andare solo in corsia di emergenza, ma poi decisero di fermarci»). E la famosa manganellata dell’ufficiale di polizia che colpì l’allevatore Cesare Filippi era indirizzata a lui, Rigodanzo: aveva reagito con estrema violenza verbale contro il dirigente che aveva bloccato i trattori - mai stato un “mediatore”, lui - e lo volevano colpire per “calmarlo”. Ma Rigodanzo aveva fatto a tempo ad abbassarsi. Ne nacque una baraonda «ed è stato Sandro Cristofari a fermarmi, perché io so - racconta in modo sempre diretto - cosa avrei potuto combinare in quei momenti». «Ho dormito al presidio di Vancimuglio quasi tutte le 78 notti, a differenza di altri: me ne staccavo solo alle 5 del mattino per andare a mungere le mucche». Era sul mezzo da cui partì il letame sparato in autostrada, affrontò con altri il processo.

LA PRIMA DENUNCIA. Ma tra le pagine del Giornale di Vicenza del 21 novembre dedicate a quegli scontri diventati notizia nazionale, Rigodanzo punta il dito su un articolo che non è di cronaca: i Cospa segnalavano la presenza di aziende a cui venivano riconosciute “quote di latte prodotto” (e pagato con i premi riconosciuti dall’Ue) senza che nessuno controllasse se in stalla avevano davvero mucche da mungere. «È la denuncia che abbiamo fatto fin dall’inizio, allora con l’avv. Michele Dalla Negra. Si parlava di 104 aziende, dopo 20 anni i numeri si sono moltiplicati».

14MILA PAGINE. Di Rigodanzo le cronache si sono occupate anche in seguito, per vari gesti eclatanti di protesta, compresa la doppia occupazione dell’Avepa o l’irruzione col trattore al raduno del “parlamento” dei leader della Lega (anche se ricorda che fu Umberto Bossi nel ’97 a impedire il sequestro di tutti i trattori dei Cospa): «Allora non avevo ancora chiaro - attacca - quello che era successo: uno scambio, una specie di accordo che coinvolgeva Governo, Lega, associazioni sindacali, Ministero, probabilmente Agea e una parte dei miei ex colleghi. Ma la verità verrà fuori a breve, ne sono assolutamente convinto». Rigodanzo si è messo a trainare altri allevatori in un lavoro molto più efficace delle proteste: studiare le carte, in quella sua casa di Lonigo che è quasi un archivio storico. E così quando 5 anni fa a Roma archiviarono l’inchiesta della Procura sulle denunce fatte da lui e dagli altri, invece di arrendersi diede una svolta: chiese l’accesso agli atti. «Ci vollero sei mesi per arrivare ai documenti: 14200 pagine. Ci mettemmo a leggerle tutte, notte dopo notte. E le carte ci davano ragione».

L’ELEMENTO CLOU. Il sospetto è sempre lo stesso: il sistema italiano delle “quote latte” ha permesso negli anni di pagare i fondi Ue anche ad aziende che le mucche non le avevano ma facevano giungere latte dall’estero (a prezzo ben più basso) per poi magari venderlo a chi produce formaggi Dop e altro. «Hanno fatto di tutto - si arrabbia Rigodanzo - per creare confusione nelle procedure burocratiche del sistema e impedire controlli». Dalle carte emerge anche la relazione dei carabinieri del Ministero che l’ex ministro Luca Zaia ha fatto giungere alle Procure. Poco dopo in un burrascoso incontro a Roma a Rigodanzo viene proposto di «rateizzare le multe, che vedrà che poi soldi per le aziende ce ne saranno quanti ne vuole», e al colonnello Mantile in un incontro registrato segretamente al Ministero viene detto «la vostra relazione è fatta bene, ma non si può far scoppiare un caso così enorme con l’Ue». C’è una parlamentare della Lega che confida che c’è un documento di Agea del 2004 che parla di 660 allevamenti “senza mucche” per 5,5 milioni di quintali «ma intanto - attacca Rigodanzo - il ministro Zaia faceva passare la legge per rateizzare le multe». E c’è il neo-ministro Giancarlo Galan che va in Parlamento a “sparare” che «il caso è chiuso: è stata controllata ogni singola azienda». Finché si arriva agli ultimi fatti raccontati dal nostro giornale: Rigodanzo e i suoi compagni che con i legali riescono a dimostrare che c’è un metodo per calcolare quante mucche da latte “in attività” ci sono davvero in Italia e smentire quel famoso algoritmo dello Stato che conteggia che ogni mucca fa latte per 80 anni.

L’INCHIESTA PROSEGUE. La svolta, come noto, è la decisione del gip Paola Di Nicola di chiedere nuove indagini alla Procura di Roma perché c’è la concreta ipotesi che il latte davvero prodotto in Italia fosse meno del tetto imposto dall’Ue, e quindi che le multe siano state sbagliate (anche se tutt’ora Agea sta spedendo centinaia di intimazioni di pagamento). «Il pm Pisani ha assicurato che rispolvererà le denunce fatte anche in passato: ne ho fatte una valanga. Il “tutti colpevoli, nessun colpevole” ci ha portato all’esasperazione e ha rovinato lo Stato di diritto. La mole di denaro truffato è immensa, il danno fatto è incalcolabile, a cominciare dalla morte di Franco Slaviero che si è ucciso per le multe, e da quel 74% di aziende chiuse. Adesso mi aspetto giustizia, poco ma sicuro».

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