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L'intervista

Stefano Stefani: «La Lega non esiste più e Salvini si è dimenticato del Nord»

di Roberta Labruna
Ex tesoriere e senatore della Lega

C'era una volta la Padania. Sono passati quarant'anni da quando l'Umberto, uno "strano" personaggio che di cognome faceva Bossi e batteva tutta la provincia lombarda spesso canzonato o peggio perché vagheggiava di indipendenza e di volersi fare portavoce delle esigenze Nord contro "Roma ladrona", andò dal notaio e diede vita alla Lega lombarda. Quarant'anni di successi e cadute, di lotta e di governo, di scandali e notti delle scope, ma sempre con un'identità molto precisa e definita. Proprio quell'identità che, oggi, in molti non vedono più. Scomparsa, come la parola Nord dal nome del partito. E per chi la storia della Lega l'ha vissuta e in certi casi l'ha creata è un colpo al cuore. «Oggi non c'è nulla da festeggiare», dice con il suo vocione inconfondibile Stefano Stefani che della Lega Nord è stato uno dei padri fondatori, oltre che tesoriere e per lungo tempo senatore.

Il 12 aprile la Lega lombarda ha compiuto 40 anni, rimane un bel traguardo o no?
I ricordi è meglio lasciarli al passato. Come dicevo poco fa, non mi pare ci sia da festeggiare: la Lega non c'è più. E comunque lo scorso anno è stato anche il compleanno della Liga veneta.

Si è sempre narrato di una forte rivalità tra Liga veneta e Lega lombarda: era davvero così?
Confermo, la rivalità c'era eccome. I lombardi volevano comandare ma noi c'eravamo da prima, la Liga veneta è stata la capostipite di tutto, però è anche vero che loro, i lombardi, avevano i politici più bravi.

Lei è stato uno dei "padri" della Lega Nord e, con Umberto Bossi, ha condiviso anche l'appartamento a Roma. Cosa si ricorda di quegli anni di convivenza?
Ricordo soprattutto l'entusiasmo. Abbiamo fatto i nostri errori, ma eravamo dei puristi. Non ci interessava il potere, noi avevamo in mente solo la nostra battaglia per il Nord. E poi ricordo che dormivo poco.

Troppi pensieri?
Macché, io avrei dormito benissimo ma l'Umberto mi svegliava sempre: entrava nella mia camera nel cuore della notte e si metteva a parlare di politica.

Rimpiange quegli anni?
Più che altro mi dispiace che la Lega non esista più. Giuseppe Leoni, che quel giorno era con Bossi dal notaio, ha detto: «La Lega di Salvini è un'altra cosa: il federalismo è diventato fascismo».

Troppo duro?
Mi pare una sintesi perfetta: la Lega si è spostata troppo a destra, questo modello non paga e non c'entra con il nostro Dna.

La colpa è tutta di Matteo Salvini?
È lui alla guida. Io gli riconobbi il merito di aver preso il partito al 4 per cento e di averlo portato al 15 per cento, ma ha fatto un errore madornale: l'aver pensato di fare della Lega un partito nazionale dimenticandosi del Nord.

Lei la Lega la vota ancora?
Sì, anche se a fatica, per una questione affettiva.

Luca Zaia le piace?
Avercene di politici come Zaia.

Zaia dovrebbe puntare alla leadership della Lega?
Dovrebbe, perché farebbe il bene della Lega, ma non credo gli interessi.

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